Francesco Bellomi e Laura Caccia su “Le voci dei bambini (Poesie 2007-2017)”, Mursia 2019, di Margherita Rimi

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L’arcobaleno del dolore

Arduo aggiungere parole ai versi dell’opera Le voci dei bambini, nella quale Margherita Rimi affida alla poesia lo strazio dei minori, fatti oggetto di violenze, abusi e sfruttamenti. L’autrice dà voce direttamente a loro, lascia che prendano la parola i «sassi nella testa», la «pietra qui nella gola», i «fantasmi negli occhi», le «paure nelle orecchie». Non trovando il dolore, quando viene raccontato dai bambini in prima persona, passaggi che possano affievolire la paura, il disagio, la rabbia, la solitudine. Nello stesso tempo, però, riuscendo a recuperare un po’ di quiete attraverso il mondo magico dell’infanzia, con la compagnia di una bambola o di una conchiglia. Diventando invece, quando viene espresso dalla voce narrante in terza persona, durissima cronaca dell’inaudito. Pur sempre, anche in questo caso, lasciando intravedere una speranza, una possibilità di parola, un barlume nel buio.

C’è infatti, in tutta questa sofferenza, una luce che tenta di farsi strada nella tempesta del vivere. Ed è il chiarore di un arcobaleno che si affaccia più volte nei testi. Ci sono i colori con cui è articolata la raccolta: il bianco dell’abuso, il nero della guerra, il blu del lavoro minorile, il rosso del matrimonio dei minori, il verde della violenza domestica. Che, insieme, trattengono e cullano gesti e stati d’animo drammatici: la paura e il senso di colpa, le grida di aiuto e il pianto, l’inutile ribellione e la disistima. E c’è, all’improvviso, «un arcobaleno // vicinovicino, troppo vicino // non si può andare // non sappiamo // dove atterra». Così come, nel grigio che domina, c’è «un bambino che ha visto l’arcobaleno di tanti colori».

La speranza è affidata però soprattutto alla parola. Al dire poetico, etico e civile di Margherita Rimi, che riesce ad esprimere l’indicibile della realtà più cruda. Togliendo maschere e coperture, anche linguistiche. Facendosi voce di chi subisce e che finalmente riesce a trovare la forza di dire, quando a lungo tutte le parole sono state trattenute, come nel disegno della bambola «dentro la sua pancia». Ed è la parola sola che può salvare. Una parola che dia un nome alla sofferenza. Che aiuti i bambini a dire. Come scrive l’autrice, a cui lasciamo voce: «se trovi la paura non trovi la parola // Una paura per dirla tutta deve avere un nome // Proviamo a chi gli mette il nome // Se c’è un nome / io posso già chiamare // Se c’è un nome // Insieme // Possiamo. Raccontare».

 

Da: BIANCO

 

La bambina non si spogliava più

 

vestiva le bambole

 

prima di addormentarsi

 

***

 

Ho preso i fantasmi negli occhi

le paure nelle orecchie

 

le mosche che ronzano nei miei capelli

 

I grandi è da troppo lontano che parlano

che non rispondono

 

Siamo arrivati qui:

 

se trovi la paura non trovi la parola

 

Una paura per dirla tutta deve avere un nome

 

Proviamo a chi gli mette il nome

 

Se c’è un nome

io posso già chiamare

 

Se c’è un nome

 

Insieme

 

Possiamo. Raccontare

 

Da: NERO

 

Non ci fanno uscire di casa. Le strade sono piene di bombe

Non possiamo giocare.

 

Se non scappo da qui posso morire. Ma dove vado

 

Trovateci. Venite a salvarci

 

Li ho sentiti piangere per tutta la notte

Sotto le macerie la mattina erano tutti morti

 

Come finisce la storia. Così: fine della storia

 

Da: BLU

 

Io sono Yasir il più grande dei miei fratelli

Ho 12 anni

Con questa macchina cucio i vestiti

 

Qui c’è tanto rumore che non si può parlare

non sento più nulla. Lavoro e basta

 

 

Quando finisce la guerra

 

voglio studiare

voglio fare il dottore

 

 

Da: ROSSO

 

 

Mi hanno venduta

 

Mio padre aveva bisogno di soldi

 

 

Sono venuti due uomini a prendermi

 

hanno chiesto il mio nome

 

Io non mi voglio sposare

 

voglio diventare una maestra

insegnare ai bambini

 

Da: VERDE

 

Ci sono tanti vermi

che mangiano i colori

 

Ci sono tante onde

altealte

 

così alte che rompono il cielo

 

E se il cielo si rompe

non c’è più il sole

e la notte

Come finisce?

Finisce che non lo so più come si spiega

 


Margherita Rimi  è nata a Prizzi (Pa) nel dicembre del 1957. Laureata in Medicina presso l'Università di Palermo, svolge l'attività di neuropsichiatra infantile. Ha pubblicato una prima raccolta di versi dal titolo Traccia d'interiorità, Cultura Duemila, Ragusa 1990. Alcune sue poesie sono state inserite in AA.VV., Petali di sole, Mazzotta, Castelvetrano 1999 mentre la silloge Righe mancanti è inserita in AA.VV., Il volto dell'altro. Itinerari tra alterità e scrittura, Kepos, Castelvetrano-Palermo, 2001.