Giulia Niccolai, in ricordo di Franco Beltrametti: Una brevissima intervista, con foto di Antonio Ria

Foto di Antonio Ria

Giulia Niccolai e Franco Beltrametti, foto di Antonio Ria
 

1. Il poeta Franco Beltrametti. Quale legame umano e artistico vi univa?

 Ho conosciuto Franco, sua moglie Judy e Giona (che avrà avuto un anno o due), a Trastevere, dove abitavo anch'io con Adriano Spatola, nel 1966, prima che Franco partisse per il Belice terremotato, col programma di lavorare lì come architetto, assieme ad altri, che avevano avuto la sua stessa idea.

Nessuno di loro venne mai utilizzato dal potere locale. Dunque il medesimo idealismo, in questo senso, era stato di diversi architetti, e questo aneddoto ci fa capire anche quanto poco si sapesse, allora, del nostro stesso paese. In Sicilia Franco scrisse "Un altro terremoto" che Spatola volle pubblicargli subito nella piccola casa editrice, la Geiger, che aveva fondato con i due fratelli, Maurizio e Tiziano.

 

2. L'influenza della cultura asiatica sulla poetica di Franco.

      In questo caso è molto importante ricordare che Franco era laureato in architettura e che si sentiva profondamente attratto dal rigore e dall'integrità dell'architettura giapponese. Sempre a questo proposito, è il caso di ricordare che, quando venne a conoscenza dell'opera di Carlo Scarpa, Franco confessò che, se lo avesse conosciuto   da giovane, non avrebbe mai abbandonato l'architettura.
 

3. I rapporti tra testo scritto e immagine. La passione di Franco per l'arte figurativa e il collage.

Se pensiamo al lavoro di Franco, l'aspetto figurativo, anche del semplice testo lineare è sempre presente nelle sue opere, come se non potesse non prenderlo, istintivamente, in considerazione. Si tratta comunque di un comportamento "innato", che, dal mio personale punto di vista, ha a che fare addirittura col suo stesso aspetto fisico di uomo decisamente piacente, bello, che però, per eleganza, non ha mai sfruttato, o messo in risalto, per farsi avanti: fare strada o avere successo con le donne.
 

4. La sua abitudine di inviare lettere e cartoline agli amici. Un modo per rimanere in contatto al di là delle frontiere e dei confini?

Franco, nella sua vita, ha sempre fatto conoscere i suoi amici agli altri suoi numerosissimi amici! Così, per lui, è anche come: trovandosi con certuni in un determinato paese, questi gli ricordassero sempre anche gli altri, altrove, e che, dunque, gli mancavano... Non c'era sentimentalismo in ciò, era piuttosto una sorta di legge "della natura" per lui. Essere alla presenza di certi amici non poteva non fargli pensare a quelli che non c'erano... Franco era una sorta di "chioccia" mentale di tutti coloro ai quali voleva bene!