Gabriella Montanari, dalla raccolta inedita "Anatomie comperate", nota di Laura Caccia

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Nel corpo del sentire

È impregnata di corporeità, nei suoi aspetti fisici correlati alla percezione di sé e del proprio stare al mondo, la raccolta Anatomie comperate di Gabriella Montanari. Lo evidenziano, già a prima vista, i titoli delle quattro parti di cui è composta, nell’intreccio degli elementi corporali e di quanto essi richiamino sul piano esistenziale, tra ricordi e messe a fuoco dei grovigli del vissuto.

La memoria del corpo pare non dare scampo. E quando riguarda l’esperienza corporea ed esperienziale diventa motivo di sofferenza e di disincanto, in cui la parola deve fare i conti con le abrasioni del vivere e del morire, imbrattandosi con quanto di torbido e di venefico venga a contatto. Parola di corpo e di sangue, di strappo e ferita, che apparentemente sembra giocare sui tasti del sarcasmo e dell’ironia, ma che in realtà riesce a dar luogo ad una spietata messa a nudo: “Un boato e un silenzio / mi fecero di carne lirica. / Salata in superficie / acre nei risvolti del sentire”.

Di carne lirica”: potente ossimoro di quanto di più materico e lacerabile si possa esprimere e insieme di più visionario e tendente all’unità si possa lasciar risuonare.

E se l’elemento carnale, il vissuto corporeo ed esperienziale, non lascia adito a speranze future, “Per quella maledizione / che ci riempie la bocca di ma sì, sì, dopo. / Dopo, però, è solo la lisca”, ciò che la parte lirica pare essere in grado di difendere è la fiducia nell’oltre-realtà della creazione poetica: “Sento che le tue iridi mi sfogliano, / cercano radici, non sanno cosa pensare. / Scusami, ma io ho occhi solo per un roseto inventato”.

E se, ancora, le parti anatomiche indicano sofferenza e sforzo, propriamente una conquista, dovendo essere acquisite a fatica, come ci indica l’autrice, “Mia prima e ultima dimora, / corpo che mi guardi, / covo di anatomie comperate coi risparmi”, ciò che la parola esprime è la gratuità del suo dono:“Il divino è nelle tue meccaniche, / sacro è il rigore con cui profani l’anima. / In cambio di tremiti e disfunzioni / ti rendo questi versi perché sono tue visioni”.

Una parola sempre impregnata del corpo che la esprime, colma di immagini e di visioni e, insieme, di tagli e dissezioni, come fosse un’indagine anatomica del vivere, a partire dalla vivisezione stessa del dire, da quel “torbido dei nondetti”, quando “madrelingua era l’incomprensione”, fino alla limpida e netta dichiarazione: “odio uccidere le parole, è immorale”. Una parola soprattutto impregnata del sangue che la anima, come Gabriella Montanari evidenzia, con la sua parte carnale, chiedendosi: “Non siamo forse gengive / che blaterano storie / di cui si è perso il sangue?”. E come sottolinea chiaramente, con la sua parte lirica, quando riesce, in una prospettiva positiva sul futuro, a fare sbocciare ”il sangue canterino”.

 

Dalla sezione Ippocampo sempreverde e ciuffi di memoria
 

NEURONI E SANTO PATRONO 

I nervi delle strade di Romagna

s’infiammano per un nonnulla,

le indoli carburano a spergiuri.
 

             Dio non c’è e non torna subito.
 

Quando i campi si strusciano al vespro

gli uomini tracannano sangue di giove

e le donne s’apparecchiano:

sughi e orifizi per bocche miscredenti.
 

Nella mia terra strozziamo i preti

con budelli di acqua e farina,

sacrifichiamo rane ai festival democratici

mettiamo lucciole nei boccali

per fare luce ai sogni.

Siamo teste calde di sole

spaccato tra le onde e i castelli.
 

           Di cosa odora la memoria?

           Quanto misura una meta?
 

Alla guida dell’esistenza

assomigliamo a bambini interrotti,

la patente rosa peonia

le tasche piene di tappini

e gettoni per le giostre.

 


TRONCHI E CORTECCE

Lo zio addestrava cagne da tartufo

la zia sbollentava cuori di pollo

la cugina era il mio doppio in biondo.


La loro dimora sopravvisse alla nostra diaspora.


Succhiavo ossa di sambuco

in cima al cachi pericolante,

ero un seme in fuga dalla potestà del frutto.


Istruivo bambole compìte

imparavo la non-famiglia.

 

M’innamorai di un fiore di nome Filadelfo:

deflorò la mia infanzia

in cambio di due stami.

 

GERIATRICAMENTE VOSTRA

I nonni coi nipoti al guinzaglio

passeggiano lungo i margini

di storie sfigurate da semolino e trame senili.

Curvi, ormai appallottolati

nel cestino delle grandi imprese.

La loro canizie è morbida, di un azzurro pietoso,

sono pulcini che hanno smarrito il domani.
 

L’ippocampo arranca, poi sciopera.

Chi sei tu? Ti conosco?

La demenza conosce i nomi latini dei frutti dimenticati,

si scorda delle voci e dei visi abitati.
 

I nonni ignoti

sono sfere di naftalina conficcate nella distanza.

Conservo vecchie foto

del loro non essere stati.


Gabriella Montanari, italo-francese, laureata in Lettere Moderne all’Università di Bologna e diplomata in Pittura presso la Scuola d’Arti Ornamentali San Giacomo di Roma, è poeta, scrittrice, critica d’arte e fotografa. Ha insegnato Lingua e Letteratura Italiana presso l’Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi (India), Tecniche pittoriche e Storia dell’arte presso il Lycée Français de New Delhi. Ha condotto laboratori di poesia con gli allievi del Lycée Français de Lomé (Togo).

Traduttrice di poesia e narrativa dal francese e dall’inglese, collabora con riviste letterarie, d’informazione, di viaggio e d’arte italiane e internazionali.

È stata co-fondatrice e direttrice editoriale della casa editrice WhiteFly Press (Lugo). Attualmente è docente di lingua francese e Presidente dell’Associazione Culturale WhiteFly, con sede a Torino. È curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali/festival letterari e consulente editoriale.

Esordisce in poesia con Oltraggio all’ipocrisia per le edizioni Lepisma di Roma (2012, Prefazione di Dante Maffia), a cui hanno fatto seguito Arsenico e nuovi versetti (La Vita Felice, Milano, 2013, Prefazione di Lino Angiuli), Abbecedario di una ex buona a nulla (Rupe Mutevole Edizioni, Parma, 2015, Prefazione di Enrico Nascimbeni ) e Si chiude da sé (Gilgamesh Edizioni, Mantova, 2016, Prefazione di Davide Rondoni). Pubblica per Supernova di Venezia (2016, Prefazione di Carla Menaldo) il suo primo romanzo, Donne di cose e per Danilo Montanari Editore (Ravenna), il libro d’arte Reattivo di Valle (poesie e fotografie) con acquarelli di Sergio Monari (2017).

Tra i riconoscimenti: Premio Internazionale R. Farina 2012: 2a classificata con Oltraggio all’ipocrisia; Premio Torresano 2016 : 1a classificata sez. Raccolta poesia inedita con Si chiude da sé; Premio Torresano 2016: 3a classificata sez. Narrativa edita con Donne di cose; Premio Montano 2017: Segnalazione sez Poesia edita con Si chiude da sé; Premio Guido Gozzano 2017: 3a classificata sez poesia inedita con « Cerulea » (da Anatomia comperata), Premio Don Di Liegro 2017: Medaglia d’onore con « A maggio » (da Anatomia comperata).