Gabriella Colletti, prosa inedita “Il paesaggio e lo sfondo”, nota di Rosa Pierno

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Immaginare come si dia il passaggio dal nulla a qualcosa, come da esso si formino le prime note, le prime forme, larvali, ma poi sempre più tenaci, le quali, attraverso metamorfosi, si sviluppano fino a comporre un tema musicale. Sì, perché è questo il tema della prosa di Gabriella Colletti “Il paesaggio è lo sfondo”: la musica. La scrittrice indaga tale formazione, ma per far questo deve creare visivamente lo stato antecedente, quel nulla abissale che tutto sembra inghiottire. Quel nero nel quale tutto sparisce e che ci minaccia. La musica, però, la sua eternità, non si contrappone solo al nulla, ma anche alla storia umana, tanto precaria quanto infarcita di orrori. In tal senso, la storia, con il suo tempo e la morte, si contrappone anch’essa a tale sfondo infinito. Si viene, però, a formare un interregno tra la storia e lo sfondo, che l’autrice denomina ‘regno intermedio dell’armonia”, regno dell’arte, il quale consente all’umano uno sguardo neutro, privo di paura, come quello animale. Per la Colletti, l’arte è il regno della soluzione delle contraddizioni. Ecco la ragione della felicità che nasce dell’armonia.

Il paesaggio e lo sfondo

(…) nel rumore, percepito distintamente, d’ogni

singola onda che si frangeva, nella sua nitida

dolcezza, c’era qualcosa di sublime.

 

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, volume IV
 

Giustizia è tutto,” disse “giustizia è la prima cosa,

giustizia è l’ultima. Chi non lo comprende morrà”.
 

Hugo Von Hofmannsthal, La mela d’oro e altri racconti
 

Ci sono fili che vanno e tornano, elementi affini

che devono incontrarsi. Chi separa commette un'ingiustizia.

Chi sceglie una sola parte dimentica che da essa sempre

si ode imprevisto il suono del tutto.

 

Ci sono gruppi di fronte a gruppi, i congiunti sono separati,

i separati congiunti. Tutti appartengono l'uno all'altro,

e ciò che di loro è il meglio si trova tra l'uno e l'altro:

ed è istantaneo ed eterno, e qui è il luogo della musica.

Hugo Von Hofmannsthal, Il Cavaliere della Rosa

 

Già, "il suono del tutto"… come l'eterno fragore delle onde che s'infrangono sugli scogli, l'eterno mormorare del mare, il suono della conchiglia appoggiata all'orecchio. Una voce indistinta in cui si fondono altre voci, da sempre, da quando è nato l'universo, e forse prima, dal momento in cui esso era solo progetto, ipotesi, possibilità nella mente di Dio. Antico suono primordiale, respiro, ritmo, palpito sempre simile a se stesso da quando è nata la Terra. Voce di amanti in un amplesso senza tempo che continua a ripetersi. Gli amanti cambiano; l'atto, il suono, l'armonia rimangono identici. Solo la declinazione, la sfumatura, cambia. Come nella melodia, gli infiniti sviluppi del tema musicale. La dimensione fluida della musica assomiglia forse all’Eterno, indicibile a parole, eppure percepibile come suono, in certi rari istanti di grazia. L'arte della musica proviene dall’Eterno. E l’Eterno è lo sfondo. Che la musica sia, forse, il respiro che lo sfondo emana? Esso è orizzonte imprendibile, vasto, infinito per l'occhio dell'uomo, di un bianco abbagliante. Insostenibile, dolorosa, accecante, quella luce. E’ come se si fissasse il sole. Spaventato, l'uomo chiude gli occhi. Li ritrae dall'orrido baratro di quel nulla, ma esso li inghiotte da dentro. E in luogo della luce abbacinante spalanca il desolato velluto buio della notte. Così smisuratamente grande deve essere lo spazio cosmico interstellare. Silenzioso, gelido, senza tempo né Storia. Non è così per l'animale, il cui sguardo innocente e a-morale guarda nell'Aperto spazio bianco, quello sfondo musicale, e non c'è paura in lui, né gioia. Solo neutro e muto guardare. Guarda e niente si domanda, nessun perché lo arrovella. Guarda, l’animale, e cosa vede? Forse, il compenetrarsi di cose le une nelle altre senza interruzione. Cose che, se separate, potrebbero fare paura, ferire, uccidere. Cose che si compenetrano senza spazi definiti, senza contorni netti. Le disarmonie diventano armonie. Le forme si fanno sempre più fluide e mosse, fino a divenire informi, ectoplasmi, fantasmi di forme, simulacri. Figure in perenne metamorfosi. Possibilità come sviluppo di un tema musicale in molteplici, inesauribili sfumature, come solo la melodia sa fare.

L'arte della musica unisce ciò che alla ragione umana sembra opposto e inconciliabile. Davanti allo sfondo dell'Eterno, proprio lì davanti, in primo piano, scorre la Storia. E’ un corteo di orrori, di violenze e ingiustizie, la Storia. Nessuna mano d'uomo o d'angelo può fermarla. Lei prosegue, avanza da sola, e pare danzare. Esegue la propria danza brutale che è guerra. Una guerra in nome della felicità, cui spesso si è dato l’epiteto di “santa”. E si continua così ancora oggi, con gli inganni dei nomi, mentre quello esatto sarebbe solo uno: egoismo.

Lo sfondo si intuisce fuori di noi, quando non si è immersi nella routine della vita. Quando ci si ferma a riflettere su se stessi, lo spazio, il tempo e l'anima, sul passato e il suo fondamento, sul futuro e la sua meta, sul presente che ciascuno è con la propria identità. È in quegli istanti di confusione e smarrimento che lo sfondo riappare come potenza che impaurisce. Riappare dentro di noi, assumendo la forma fluida di un non-colore che in sé tutti li contiene e li annulla: il nero. Nero velluto dello sfondo, eterno nero di un'interminabile notte senza inizio né fine, senza Storia, senza il familiare susseguirsi del giorno alla notte. Lo sfondo sta dentro di noi, povere creature della Storia, che portiamo dentro l'eterno sfondo senza tempo. Esso ci appare come la morte. Quella fessura che lascia passare l'Eterno, ma in verità, come lui, essa è già tutta dentro di noi. E abbiamo un bel tapparci occhi e orecchi per non vederla, non sentirla. Allontaniamo la morte, correndo via da lei con distrazioni. Poveri illusi. Noi, che non vorremmo sentirla, le apparteniamo, e lei ci appartiene custodendoci. Occultiamo la morte e occultiamo lo sfondo. Poveri illusi.

Tanto più il paesaggio del nostro mondo e della nostra storia è piccolo quanto più ci sentiamo al sicuro, tranquilli nel nostro adorabile, meschino guscio di lumaca. Tra il paesaggio dai contorni netti in primo piano, che è la Storia, e lo sfondo infinito ed eterno che sta dietro, proprio in mezzo, si estende il regno intermedio dell’armonia. Tra il paesaggio in primo piano e lo sfondo c'è l'arte, ogni arte. Dimensione fluida in cui l'artista, come l'animale, esce da sé e guarda con occhio puro e neutro, non umano, dritto nell'Aperto. Egli non ha paura. Rapito e assente da sé, è dentro le cose. Si sente schiacciare dal peso della natura e tuttavia si percepisce leggero. Nuvola informe e cangiante, egli assume ogni parvenza. Possiede e gode di tutte le forme: onda e nuvola insieme, acqua e aria. L’artista entra con l'arte nella dimensione dell'armonia. Qui, i contrasti non sono più stridenti ma fusi insieme misteriosamente. Le contraddizioni si accordano fra loro. I separati ingiustamente dalla Storia, gli assolutamente inconciliabili, si ricongiungono nel giusto accordo. Il risultato di tale prodigio, a chi sa guardare e ascoltare, è solo felicità.


Gabriella Colletti è nata a Milano l’11 marzo 1967 e vive a Trecate (Novara). Nel '98 ha pubblicato il saggio Piccola Guida al Broletto di Novara (Millenia Edizioni, Novara). Nel 2004 ha pubblicato il volume Cento poesie del cuore (Nuove Scritture, Milano). Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo La nostalgia dei girasoli (Manni Editori, San Cesario di Lecce), grazie al quale ha ottenuto svariati riconoscimenti, tra cui: Finalista del Premio Internazionale Mario Luzi 2014/2015 – Sezione “Premio Italia”; Premiata, nella Sezione narrativa edita al Premio “Poesia, Prosa e arti figurative” Accademia Internazionale “Il Convivio” Castiglione di Sicilia (CT) 2015; Menzione di merito al Premio Letterario Sirmione Lugana 2015 Sezione narrativa. Menzione d’onore alla 41° Edizione del Premio Letterario Casentino "Sezione Giuseppe Frunzi" – Editi. Prima classificata al Premio Letterario di poesia e narrativa “Città di Arcore” – Anno 2016.

Nel 2016 ha pubblicato la raccolta di poesie L’occhio al papavero (C.A.SA. Edizioni, Saronno-Gallarate).