Terza pagina: Michela Gorini per Fabrizio Bianchi, editore e poeta (1946-2019)

e non ho nemmeno la forza di scriverlo

in chiaro

 

5 dic. 2019

Auguri, Michela.

Anche se in ritardo.

Sarò un po' fuori dal giro fino a tutto gennaio.

Sono in cura.

Al San Matteo di Pavia.

Per una leucemia quasi fatale.

~

Non ho il controllo del corpo

~

Senso, corpo, corpo, senso. Tutto ciò che dell’essere vivi o imprigionati, in quel corpo e senza, sentirlo e non sentirlo. Sentirsi senza corpo. Queste parole – notizie dall’ospedale – mi attraversano come una doccia fredda. Leucemia (quasi, fatale). Questione severa, l’onere del corpo, corpo che si sente, corpo che non si sente. Il controllo nelle vie cerebrali, sistema nervoso autonomo, viscere, quale corpo non sentivi?

Scrivo queste righe in periodo lockdown (Covid 2020). Confinamento al proprio corpo. Mi chiedo, allora (dicembre 2019) dieci volte prima di scrivergli, se scrivere meno, se giusto ricevere, la consistenza materiale di parole. Perché si posano sul corpo. Vorrei, domandare. L’istante stesso vorrei domandare, l’istante che riguarda il corpo. Quanto forte affrontarsi, l’istante della perdita suprema, il discorso senza parole addosso e non poter replicare perché comanda la temporaneità per essenza e saprai, lì, che è in atto l’istante in cui smetterai di sentire le tue tracce. Il bordo trasferiva tracce, immissione di ossigeno, proprietà riciclabili sostenibili, sentire il lavoro e l’abito vitale che si rigenera da sé. Non esiste un sapere oltre, una forma vivibile sperimentabile alternativa. Non esci dal confinamento, dal confine al corpo che si morde e ti straccia, pezzo per pezzo, la vita che pensavi appiccicata. La vita che mordeva il corpo – desideri rabbiosi – non è la stessa vita che ti libera, è questa labile fatta di contorni che modifica gli umori e ti permea le ossa di movenze, lega muscoli e toni a un grado inferiore.

Sei pallido, bianco. Così ti vedo.

Malato ma vivo. Vivo ma silenzioso. Goffo e sparpagliato, la tua sfida con la vita, spavalda timidezza, parole accantonate, posate, scritte, quelle che ci siamo detti. Riposano e restano, a rischio di fragilità e senso.

 

Fabrizio scrive un corpo che non riposa, incessante, inappagato. L’incontro che non si rivela, il sogno e definirsi ogni volta altrove: supereroe della scena, schizzo a carboncino, scarabocchio. Il suo tono nitido, le sue timidezze, pause, l’essenziale e necessario, sempre, la sua voce misurata. Dietro sentivo il suo sguardo, la sua ricerca, le sue riproduzioni, le sue questioni. Trovare qualcosa per dire qualcosa, senza dirlo a tutti. Tutto non è stato manifesto, con Fabrizio. Mi domando cosa avrebbe sentito del corpo disarmato del lockdown, l’alterità trasmessa in decibel, offuscata incessante. L’aritmia e lo scompenso. Avrebbe cercato ancora un senso, il suono incessante dopo il silenzio.

La lettura qui sotto, sono tracce della sua poesia, di corpo maschile estratto e non trattato, adolescente, padre e bambino, identità fallibile, corpo animato, animale, amante.

 

Sul bordo

Come si imparenta un corpo – padre – a un corpo altro – figlio? Restiamo affiliati a una matrice (che non ha di materno). Se parti di un tessuto che si separa, e separato comunque. Forse sei lì a domandarti se viene, da te. Il grande scarto tra grande e piccolo, sconfinate solitudini e anni luce, dalla loro affamata allegria. Non poter dare una collocazione alla funzione, fare l’adulto, fare il padre con il piccolo staccato e congiunto. Le parti corporee staccate che non incarnano funzione. Non starci dentro, il paesaggio, non esserci. Un soprassalto fisico di insopportazione. La tua voce in silenzio che grida, la scrittura addosso che ti tormenta e distrae, il tuo sguardo linguaggio che corre oltre lo spazio.

Prestare cura (è il tuo sangue), tratta in qualche modo di un codice, una scrittura genetica che tratta il suo sangue, la marca maschile sconfinata e scritta nel tuo. Sieroso appiccicoso, estraneo e inassimilabile. Un derivato, in formula differente. La biologia che ti richiama all’ordine, a una trama ancestrale che non ti contiene e ti assenti, presti ascolto al tonfo della caduta. Domandandoti, vestito, dove, esistere. Se figlio, uomo, adolescente. Il codice ti consegna un figlio in eccesso, vivide pulsazioni, amorevole ricettivo alle attenzioni barbariche che sei chiamato a mostrare, mentre zampilla altro sangue a rintocco e tu, la deriva, padre dismesso a osservare vividi orizzonti sconfinati e perderti, in solitudini. La tua necessaria impossibilità di non combinarti all’insieme, proclamarti silenziosamente uno, uomo. Stazionare per vivere sul bordo.

 

Giardinetti 1

piangi per un’improvvisa caduta

[le ginocchia strisciate

da polvere nera e sieroso sangue appiccicoso]

devo farti fare pipì tergerti

le righe terrose delle lacrime

[mentre non so perché /vivo

/vivi

in /orrenda caduta verso il nulla]

/rapidissima

Fare finta di niente.

 

La melma del reale

Dov’è la concessione all’esistere? Fabrizio è il suo sottosuolo, il primo piano nella sua dipartita e molto prima e ripetutamente, dominano le sue tonalità, il terreno già sporco di melma reale e scorie. Lasciate le sue piccole tracce composte e decomposte. Lineari.

(afasia) Perdita della capacità di comporre/comprendere. Fabrizio non si interroga, sullo strumento (linguaggio), lo osserva, lo usa, lo sfida, cerca senso e scopo, disperatamente, nel sottofondo di indistinti rumori. Forma lo strumento, il suono, suona nella scrittura lo strumento poesia. In afasia su ogni tassello noioso e noto, suona lo strumento corpo stracciato nel sudario del foglio bianco.

 

Stardust

E sporchiamola, dunque questa poesia

con tutte le scorie e la melma del reale

ingoiando, fino in fondo lo schifo di un mondo che ti stupra,

ti violenta, ti tortura a morte, oggetto senza dignità

corpo stracciato sotto il sudario del foglio

lenzuolo bianco che deve testimoniarne lo strazio

 

Male version

Macchiolina costante e accesa, il punto più reale dell’umano, piccolezza e precocità nel sentire e sentire senza dominare, senza dignità. Al tuo interno, commentabili, visibili, risibili macchioline, pois così netti, neri (Dio le ha fatte resistenti), ti salgono al dito. Macchioline che ti hanno scritto come invisibili occhi. Tracce di esiguità e finitezza in potenza, convocata istintività. La forza vivificante del corpo animale, il rettile che ti spoglia la pelle e la riforma, si decuplica, in forme che dipartono alla struttura animale che ti contiene alternato e sognante, avvolgente e imperativo, con l’elemento al femminile. Dove si fonde, generosamente, l’animalità e sublimandosi, al dio serpente, ingoiandosi ogni remake di piacere esistito / esistente, finalmente sazio. Umano, premeditato, perversamente (entro) il corpo del linguaggio, ricresciuto in parti (altre), code, zampe, bifide lingue. Ancora vivo. La struttura del linguaggio muove pezzi, assembla, tramuta, taglia e morde. E ricompone, ne esce la raccolta. Parole mai a riposo, qualche altro ti ricorderà, leggendoti, decostruirà e ricostruirà, deformato, oltre il game over. Ciò che non può, nell’abitare l’uomo, Fabrizio lo lascia al corpo dell’animale in mutazione, al videogame con superpoteri, al maschio del sottofondo urbano, che possiede senza domandare.

 

Sacrificio al dio serpente

Ed ecco: siamo all’elevazione.  E ti proclamo beata

[di fronte a Dio e agli uomini]

e vorrei avere 3 peni, e 2 bocche a ventosa

e più lingue [nei posti giusti]

migliaia di sensori e tentacoli

su un corpo da enorme pitone

per possederti tutta

contemporaneamente

e avvinghiarti poi fino a toglierti il respiro

e ingoiarti poco a poco nella bocca slogata

smisurata

gli occhi sbarrati in uno sforzo disumano

il corpo deformato che segue la tua sagoma:

una pelle che scivola, con lentezza, sulla tua

fino ad avere, perfettamente, la tua forma

[così amata]

Divento te, dentro.

Pigramente piangendo,

[dal piacere] per settimane.

Finalmente sazio.

Sfamato.

 

Fast Sex

mentre le abbasso la gonna e i collant

e cerco famelico il suo sesso bagnato scostando gli slip

e la penetro /in piedi [tra le imprevedibili scosse del metrò]

/in equilibrio

sicuramente tra gli applausi ammirati degli altri viaggiatori

[urla e fischi di incoraggiamento, una standing ovation

sincera e liberatoria, richieste di bis].

 

Videogioco 3

Smettila di saltare, Lara.  

Sparare senza tregua.

Toglierti il reggiseno.  [ci sarà un trucco per farlo]

Fammi provare.  Toccarti.   Giochiamo col tuo corpo. Ti prego.

O violentami tu. Sono pronto.

E [dopo averlo fatto] fammi pure saltare via il cervello.

 

La nostalgia di te

Invece malsicuro, imperfetto, quel tuo essere nel maschile (o trovartici a che vedere?) Il rapporto che non si realizza insieme alla donna, mai sincrono, reiterante quella implacabile tua scelta di solitudine, linciaggio di eredità che non si intrecciano a ciò che di te compie l’idea di un desiderio, un desiderio ardente, inserito dentro la donna. Fino a l’amare, l’irraggiungibile a te simile, al di là di lei. Maledettamente solo.

 

Fast sex

[mentre mi divora la nostalgia di te

e di tutti i tuoi buchi sensibili

della tua pelle

di ogni sua macchiolina o lentiggine

delle tue labbra socchiuse]

una donna sufficientemente /bella

/a te simile

da provare a levarle [anche solo mentalmente] i vestiti

 

[…]

E invece,

arrivo frustrato a Porto di Mare

per incontrarti [mentre stai partendo]

per un fugace abbraccio

un bacio furtivo sulla guancia

nel buio

e nel buio subito scompari

[lasciandomi un desiderio ardente di te

che divampa e mi brucia dentro i calzoni congelati/stecchiti]

triste e inappagato pendolare dell’anima

[maledettamente solo]

 

Retroscena

Polvere di stelle, sbiadita. La scena generosa e insensata che sbiadisce, in onore al vero. La partecipazione vuota, mummificata. La scrittura non tradotta. Dove l’abito maschera e distorce, frenesie di comparire, repentinamente scomparire, nessuna scelta: blackout. Tutto può essere scarabocchio, anche la polvere che si decompone e sbiadisce, caricatura di specie di esistenze autorigenerantesi, agghindate di suoni e specchi ove domare un “piccolo” posto e garantito, nei pressi del nulla. Disarmonia che si disgrega, austerità e melanconia, verità e vuoto. Parole che si dimenano distorte, all’ascolto. E non si propagano. Noia, sonno, ingoio di nascosto Fisherman’s per tenermi sveglio. Addormentamento, letale.

 

Stardust

I vecchi poeti
recitano tutti una poesiola sui gatti
[e anche sui moscerini e sulle mele]
e c’è anche quello più famoso
[già mummificato]

 

Mister Zhou

Poeti esangui

tutti concentrati in privati [noiosi] malesseri

[in genere insegnanti: lettere o filosofia]

 

[…] incapaci di vivere davvero la vita

di amarne i reali odori & sapori

e il denso sangue nero che la irrora

 

Showdown

Dio, non farmi diventare un vecchio poeta

gonfio dei suoi miseri ricordi

dei premi collezionati

 

 

28 dic. 2019

In ricordo di

Fabrizio Bianchi

Poeta e direttore editoriale

Dot.com press Poesia

Postilla di Ranieri Teti

 

Il 12 ottobre 2019 è la data di una delle ultime apparizioni pubbliche di Fabrizio Bianchi. Lo invitammo a Verona, in qualità di editore, al Forum Anterem – Premio Lorenzo Montano.

Le due immagini proposte sono state scattate quel giorno.

Molti ricorderanno il suo intervento, ricco di spessore, passione, competenza, pacatezza e disponibilità al confronto. La sua umanità fu un prezioso elemento aggiuntivo.