Ettore Fobo, videolettura; prosa inedita “Di silenzi, deserti, addii e altri enigmi”, nota di Mara Cini

 

Di silenzi, deserti, addii e altre cose

 

I

Quando il silenzio ingigantisce meteore di metafore e la languida ebrezza non può sfumare in circonferenza di abbracci, nella scrittura del tramonto si nasconde il tormento, evento circoscritto alle esperienze di fumo di un Perelà dissociato: confrontarsi con il proprio vuoto umano è assai dura fatica ma non deve vincere il deserto senza sfumatura d’espressione.

Come dire il mistero di questa esplorazione senza testimoni? Sforzo di udire il mormorio distante della galassia. Sguardi in apnea nell’oceano del non visibile. Parola murata viva nel suo svanente profumo di abisso. Orchidea nel buio, suppliziata intelligenza senza uditorio, io cerco un’illuminazione al principio dell’altrove. Là, dove abitano le ombre che furono i nostri primitivi sguardi.

Sorge dalla terra questa misteriosa mistica, che la stregoneria amplifica fino a farne la rosa pregiata nel giardino dei re. Udire la notte gravida di segreti, nel mutismo dei monumenti illuminati dalla luna o parlare sotto vento all’indolenza delle nuvole, che sperano ancora nella pioggia.

Quale musica allontana da me il maleficio del pensiero? M’interroga l’incendio e la marea azzurra delle domande senza risposta. Suvvia, questi cerchi nell’acqua sono da decifrare come la nudità dell’arcobaleno.

Unire a questa consapevolezza un oceano di bellezza da auscultare come un medico, nella sua agonia storica. Quale musica riunisce la croce e la rosa? Di quanti brividi è fatta la beatitudine sconosciuta? Quale ombra in agguato dietro il pensiero è pronta a balzare? Quale bestia si duole della perdita di sguardo all’acme del sogno? Con quali occhi non infetti visitiamo il crepuscolo?

Queste interrogazioni muovono il silenzio e lo costringono a specchiarsi nella parola, quest’acqua muta sotto la terra del segno. Disorienta questa ribalta senza pubblico, scrivendo l’onda di un encefalogramma in sussultante ritmo, sollevando obiezioni conto la regola del tacere oppure… Osservare senza catastrofe la venuta al mondo di una musica abissale come il silenzio dell’assoluto, per sapere infine che lo squarcio che attrae il pensiero è lo stesso che gli dà luce. Il deserto e il giardino qui trovano il loro incontro e nessuno conosce la formula esatta della fusione.

 

II

Così, vita, mi racconti l’infinita tristezza dell’addio, anche se la scrittura è ciò che ci dissuade dal piangere per celebrare la fluttuante bellezza del divenire. Oh cieli di madreperla delle antiche poesie, dove vi siete nascosti, nel fondo di quale lacrima nuotate? Non ci resta che educare il tuono a farsi sinfonia, trasformare il rumore della pioggia in una partitura jazz, adorare il vento che fa respirare le maree, tornare dunque pagani, sull’orlo della catastrofe terrestre, per vedere un tempio di Iside sulla luna o nell’acqua di un fiume la guizzante silhouette di una ninfa duellare con una bottiglia di plastica là gettata.

Sondiamo il precipizio della scrittura per estrarvi l’essenza di tutto il precipitare umano, il cui canto ci lascia esterrefatti come l’improvviso bagliore di una lucciola in un parco la sera. Eccoci, dimentichi del nostro volto, inabissati nell’anonimato della folla sciamante, nell’immensa città, di nuovo riconnessi con la dimensione dello sgorgare pianto, là dove cresce il riso indifferente della gente. Fiume di una parola che traduce l’essere in un riflesso del tacere ambiguo delle montagne tutt’intorno e da questo tacere noi estraiamo il ricordo di una risata infantile che disegnò nell’aria la storia delle nostre angosce future.

Perché tutto è intrecciato e se parlo groviglio è perché la vita nel suo erompere è caotica e sfuggente e se la morte è impensabile, questo impensabile accompagna come ombra ogni pensiero.

Siamo inseparabili dall’abisso, generati in una notte di follia da un dio che è una cicatrice e da una dea che è una striatura rossa su una pietra. Figli di un’antichità tramata d’impossibile, dove una notte cieca guida poeti notturni a fondersi con il verso del gufo o della civetta. L’essere è incapsulato nel nulla ed è assai dura fatica togliere la millenaria patina di silenzio da ogni parola umana.

Così, vita, mi racconti che ogni addio è infinito e su questa corda tesa danzano come lacrime le ore di gioia passate con la persona con cui condividemmo un’unione, o con l’animale che leccò dalla nostra mano il peso dell’angoscia.

Non c’è addio in fondo, perché se tutto è addio, il vuoto è il precipitato cosmico cui fare affidamento per descrivere l’esperienza da carcerato dell’essere umano, serrato fra nulla e nulla.

Così l’abbaiare di un cane morente, che molto si è amato, ci penetra nell’anima come il soffio della caducità che tutti ci accomuna nello stesso gorgo. La scossa delle lacrime diventa dunque simbolo di un dolore universale e ci invita a vedere nell’acqua dell’oblio naufragare la nostra faccia, tutte le facce, la siepe, l’infinito, Dio. Solo rimangono, smisurati, i silenzi stellari che nessuna lacrima può scalfire e dove nessun grido riecheggia, nessun pianto.

 

***

Si presenta qui il tema della decifrazione. Ma come decifrare tutte le vibrazioni dell’atmosfera, del corpo, del pensiero stesso mai del tutto silenzioso che, il silenzio, genera domande?

Simboli da decifrare di una partitura scritta e taciuta, groviglio di suoni e di soffi verso un Là dove abitano le ombre che furono i nostri primitivi sguardi.

 


Ettore Fobo (pseudonimo di Eugenio Cavacciuti) è nato a Milano nel 1976. Ha pubblicato tre libri di poesia con Kipple Officina Libraria: “La Maya dei notturni” (2006), “Sotto una luna in polvere” (2010), “Diario di Casoli” (2015) e un audiolibro “Poesie allo stato brado” (2020). Con la casa editrice Montedit pubblica la silloge “Canti d’Amnios” (2020)

Sue poesie sono apparse in diverse antologie, fra le quali la raccolta connettivista “SuperNeXT” (Kipple Officina Libraria, 2011). Dal 2008 gestisce un blog di letteratura “Strani giorni” (www.ettorefobo.it). Collabora con la rivista multilingue “Orizont literar contemporan”, con il portale di critica letteraria e dello spettacolo “Lankenauta” e con il blog collettivo “Bibbia d’Asfalto”.

Una sua silloge, “Musiche per l’oblio”, è stata tradotta in romeno, francese, inglese e spagnolo.

Ha ottenuto diversi riconoscimenti a concorsi letterari, fra i quali: vincitore ai Premi “Le Occasioni (2018), “I Colori dell’Anima” (2018), “Il Sublime - Golfo dei poeti” (2018), “Besio 1860” (2019), segnalato al Premio “Lorenzo Montano” (2017, 2018 e 2019), Premio Speciale della Giuria a “Ossi di seppia” (2019). “Musiche per l’oblio” è stato fra i libri selezionati per il “Premio Gradiva” (2019). Il 15 febbraio del 2020 fonda il Movimento del Mitorealismo di cui scrive il primo dei manifesti.