Lucianna Argentino, video presentazione; prosa inedita "Il silenzio è ascolto", nota di Mara Cini

 

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Il silenzio è ascolto.

Il silenzio è per l’anima ciò che lo spazio è per il corpo. Apertura. Esercizio. Intimo movimento di ciò che senza voce dà voce all’essenziale.

Lo sanno bene i poeti nel loro essere contesi tra parola e silenzio personali, creativi, che creano dialogo, che esprimono - fanno intimità. E parola e silenzio impersonali, mondani, che creano confusione, distanze - spezzano legami o li impediscono.

Il poeta fa silenzio per farsi ascolto. Con la parola poetica crea silenzio e ascolto.

L’essere poetica della parola dipende dal silenzio su cui è innestata.

Allora si può dire che anche il silenzio è conteso tra la parola poetica e l’abisso del nulla, il nulla che certe parole portano con sé quando nascono da silenzi inagrestiti e che anche il silenzio si contende i poeti per sfuggire al nulla che non gli appartiene. Perché se il silenzio non nasce alla parola e al pensiero non è silenzio.

La collisione tra parola e silenzio crea poesia, avvia la metamorfosi della parola in poesia, là dove l’acceleratore è lo Spirito, la Ruah, che abita il silenzio.

Il silenzio dei poeti è una presenza che si fa presente e fa le cose presenti.

La parola poetica è il salto quantico del silenzio, il suo mutare di stato e di sostanza e attraverso il quale le parole si offrono al potenziale d’azione del dire.

 

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Il silenzio è speranza.

Il silenzio è speranza che la parola poetica da esso possa emergere come la vita dall’acqua primordiale e a quell’emergere segua la precisione del dire perché anche la poesia è speranza. Speranza che si compie, ma non si esaurisce, speranza in atto che genera speranza.

Silenzio e speranza sono attesa, ma sono soprattutto cammino verso qualcosa che già è presente e non attende altro che la nostra collaborazione per manifestarsi.

La speranza - innestare il futuro nel presente - richiede lavoro, proprio come il silenzio che una volta accolto viene trasformato in qualcosa d’altro in cui continua a respirare e dunque è anch’esso materia che il poeta plasma, anzi è il silenzio stesso a rendere le parole malleabili, pronte all’impasto poetico. Ma il silenzio, il vivo silenzio dei poeti è anche dubbio e paura perché dubbio e paura sono parte della nostra sostanza e possono essere zavorra oppure slancio. Temiamo che l’attesa sia vana quando non riusciamo a trovare vita nell’attesa. Quando l’attesa è più una resa mentre attendere è un verbo attivo: indica - azione.

In ebraico il verbo sperare, qiwwah, vuol dire anche essere teso, aspettare ed è collegato a una parola che, tecnicamente, indica la corda dei muratori e oltre a voler dire del legame della vita con la speranza e della speranza con l’“Altro da sé” sta a significare che la speranza è misura del valore che diamo alla nostra vita. Giacomo Leopardi parla di speranza come passione e George Steiner si diceva “incapace, persino nelle ore più tetre, di rinunciare alla convinzione che le due meraviglie che giustificano l’esistenza mortale sono l’amore e l’invenzione del futuro verbale”. Amore e futuro verbale che sono quella speranza nella cui declinazione siamo tutti.

 

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Il silenzio è una voce e due punti.

È nella sospensione dei due punti, in ciò che il silenzio introduce, invita con la sua presenza.

È nell’attesa di ciò che nel silenzio, con il silenzio av-viene.

L’avvento fuori tempo, l’imbattersi del presente nel futuro. Di quanto nell’avvenire accade, giunge sotto altra specie.

È la visita dell’angelo.

È l’attesa e la sospensione dell’Annunciata di Antonello da Messina.

Tutt’intorno l’oscurità del silenzio in cui si nasconde la luce, e Miryàm sta, senza aureola, perché è ancora solo Miryàm - una fanciulla. E il silenzio è ancora solo silenzio, è ancora solo respiro che sfoglia le pagine del libro.

E la mano dice all’angelo attendi, taci, così la parola al silenzio:

fammi domanda e attendi che io diventi pronunciabile.

E Miryàm attende che diventi pronunciabile il suo assenso.

 

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Il silenzio è digiuno.

Un digiuno non penitente, ma di purificazione, di alleggerimento.

Un digiuno festivo. Un digiuno che nutre.

Il silenzio così vissuto e praticato libera la nostra anima dalle scorie della quotidianità. Asterge il nostro essere dal superfluo che lo appesantisce, lo ancora a terra, lo rende cieco e soprattutto sordo all’ascolto di quanto in noi vibra all’unisono con il canto sommesso del mondo. Bereshit – prima parola ebraica del libro della Genesi – significa In principio e contiene sei lettere che secondo la Cabala possono essere scambiate di posto per formare altre parole che danno vita a importanti messaggi. Uno è Taev shir che vuol dire “desiderio di un canto”. Dio dunque creò il mondo perché desiderava sentir cantare, desiderava che il mondo cantasse - il canto che ogni essere umano deve trovare il modo di intonare. Per di più alcuni scienziati ipotizzano che prima di imparare a parlare, gli ominidi, modulassero dei suoni simili a un canto, un po’ come fanno alcune scimmie del Borneo. Quindi il canto prima della parola e quindi il silenzio come un canto misterioso e nudo – la vibrazione cosmica di fondo del nostro essere.

Pericoloso è il digiuno dal silenzio.

Virginia Woolf quando le voci che sentiva divennero talmente intense e ingestibili da non permetterle di concentrarsi sulla scrittura mise delle pietre nelle tasche del cappotto e si lasciò annegare nel fiume Ouse.

 

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Il silenzio è tenda.

Tenda dal latino tendere: attendere, prendersi cura.

Attesa e cura di qualcuno o di qualcosa.

Ma anche tendere verso qualcuno verso qualcosa.

Tendere all’unione, alla comunione, alla relazione questo è scritto nel nostro DNA biologico e spirituale.

Silenzio/tenda – luogo dell’incontro e presenza.

Incontro con l’altro da sé e presenza di entrambi in uno stare che è stare in presenza ognuno della presenza dell’altro e dell’essenza in essa incarnata.

Recinto sacro ritagliato nello spazio del quotidiano affanno. Luogo dell’incontro in cui la parola poetica, dopo aver attraversato la presenza fondante del silenzio, si fa testimonianza - testimonia il suo stesso essere presenza che nel dirsi si offre, si dà a nuove nascite.

Tenda in cui trovare riparo per esporsi a e sopra ciò che è margine e marginale eppure è radice del farsi tenda del corpo poetico della parola.Il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo a noi. Così la parola poetica si fa carne a immagine e somiglianza. Ma c’è dell’altro. Per i latini la tenda da campo è il papilio perché spiegata e tesa assomiglia a una farfalla. E da papilio si giunge a padiglione parte esterna dell’orecchio dove confluiscono suoni e rumori, voci e parole.

Dove ha principio l’ascolto.

Così il silenzio è anche

 

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Il silenzio è campo.

Il silenzio è il terreno in cui si pianta la tenda – doppia dimora, dunque doppia esposizione: all’aperto, al fuori dalla tenda e al chiuso, al dentro la tenda. Là dove il fuori ha un suo essere all’interno in una chiusa esteriorità e il dentro ha un suo essere fuori in una aperta interiorità dove si crea lo spazio per la libertà.

Silenzio/campo – luogo dell’attesa e della cura.

Nel silenzio si attende in una attesa che è già cura. Ci si prende cura di sé per aver cura dell’altro, perché cura è responsabilità:

Dov’è tuo fratello?

ma prima

Dove sei?

Se so dove sono, so dov’è mio fratello e mio fratello sa dov’è. Un sapere mai completamente raggiunto, un sapere sempre in cammino. Un sapere del sangue e delle viscere. Un sapere dell’amore che sa sempre quali strade percorrere. In quella libertà che non finisce dove inizia quella dell’altro, ma la prende per mano. Si prendono per mano.

Nel silenzio con un esercizio interiore ci si predispone all’attesa, si rivolge l’animo a qualcosa o a qualcuno ci si distoglie da sé e attraverso la lontananza da noi stessi si attua lo spazio per la cura, per l’accudire – un domestico rimettere a posto. Fare ordine.

Acc-udire – accorrere ascoltando. Attendere è ascoltare attentamente, fare bene, impegnarsi in qualcosa, impegnarsi con qualcuno.

Aspettare: ex - spectare – guardare fuori di sé, guardare attentamente. Senza cupidigia. Guardare per ri-conoscere l’altro, per ri-conoscersi nell’altro e per fare in modo che l’altro, accolto, si ri-conosca.

Ma il silenzio è anche il campo, mai neutro né neutrale, di terra e di carne in cui si svolge la battaglia tra il poeta e la parola poetica spesso renitente, spesso al limite del dicibile.

 

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Il testo di Lucianna Argentino mi riporta al mondo di un’amata autrice, Chandra Livia Candiani, che nel suo recente Il silenzio è cosa viva racconta come il meditare, in silenzio, sia un perfetto stare dentro se stessi, abitando lo spazio del vuoto, ascoltandosi consapevolmente.

Dal silenzio si impara appunto ad ascoltare la vibrazione, il respiro, a sintonizzarsi con la propria voce interna, ricettacolo della nominazione, eco dei giorni.

Del testo di Lucianna Argentino mi piace sottolineare l’equazione tra parola poetica e silenzio. Il suo mutare di stato e di sostanza (del silenzio e della parola poetica) verso un potenziale d’azione del dire.

 


Lucianna Argentino è nata e vive a Roma. Dai primi anni novanta il suo amore per la poesia l’ha portata a occuparsene attivamente come organizzatrice di rassegne, di presentazioni di libri e con collaborazioni a diverse riviste del settore. Sue poesie sono presenti in molte antologie tra le quali “Poesia’ 90″ (Il Ventaglio), “Incontro di poesia” (Rebellato, 1992), “Poesia degli anni novanta” (Poiesis), “Poeti senza cielo, vol. 2°” (Il Melograno) “Poeti e poetiche n. 2” a cura di Gianmario Lucini, “Fil Rouge antologia sulle mestruazioni” a cura di Loredana Magazzeni e Antonella Barina e in riviste tra le quali Poiesis”, “Origini”, “Gradiva”, “La Mosca”, “Italian Poetry Review”, “Il Monte Analogo”, “The world poets quarterly”, “L'ustione della poesia” (ed. Lietocolle 2010), “La Clessidra”, “NoiDonne”, “Capoverso”, “Il Fiacre n.9”, “Arenaria”. “Punto- Almanacco della poesia italiana n. 3- 2013”, È presente in diversi blog di poesia, come “Lapoesiaelospirito”, “Imperfetta Ellisse”, “liberinversi”, “Isola Nera”, “Furioso Bene”, “Blanc de ta nuque” “Amigos de la urraka”, “La dimora del tempo sospeso”, “Nazione Indiana”, “Le vie “poetiche”, “Rai News24”, “Moltinpoesia”. Ha fatto parte della redazione del blog letterario collettivo “Viadellebelledonne”. Ha partecipato a diversi Festival tra cui “Ottobre in Poesia” (2007) di Sassari; al Festival Caffeina di Viterbo nel 2011 e nel 2017; al “Festivart della Follia” a Torino (2015); al Festival “La Rocca dei Poeti” nel borgo medioevale di Ostia (2015, 2016, 2017) e nel Tempio di Santa Croce a Tuscania (2018); allo “Stabia Teatro Festival di Castellammare di Stabia (2016); a “Ritratti di Poesia” di Roma (2017); al Festival della poesia nella cortesia a San Giorgio del Sannio (2017); al Festival “La luna e i calanchi” di Aliano (2017); al Festival “Notturni di Versi” di Portogruaro (2018). È coautrice con Vincenzo Morra del libro “Alessio Niceforo, il poeta della bontà” (Viemme, 1990). Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: “Gli argini del tempo” (ed. Totem, 1991) con la prefazione di Gianfranco Cotronei; “Biografia a margine” (Fermenti Editrice, 1994) con la prefazione di Dario Bellezza e disegni di Francesco Paolo Delle Noci; “Mutamento” ((Fermenti Editrice,1999) con la prefazione di Mariella Bettarini; “Verso Penuel” (edizioni dell’Oleandro 2003) con la prefazione di Dante Maffia; “Diario inverso” (Manni editori, 2006), con la prefazione di Marco Guzzi; “L'ospite indocile” (Passigli, 2012) con una nota di Anna Maria Farabbi; il poemetto “Abele” (Ed. Progetto Cultura, Le gemme 2015) con la prefazione di Alessandro Zaccuri di cui alcuni brani sono andati in onda, nel giugno del 2017, su Radio Vaticana nella rubrica “Pagine Fogli Parole” a cura di Laura De Luca nell’interpretazione di Pino Censi; “Le stanze inquiete” (Edizioni La Vita Felice, 2016); “L’ombra dell’attesa” (Macabor Editore, 2018) con la prefazione di Elio Grasso, ristampa revisionata del libro “Verso Penuel” del 2003. Nel 2009 ha pubblicato la plaquette “Favola” (Lietocolle), con acquerelli di Marco Sebastiani. Il suo lavoro inedito “La vita in dissolvenza” (quattro monologhi al femminile) sono stati musicati dal chitarrista Stefano Oliva e presentati in vari teatri, associazioni culturali e Festival. Dal 2014 collabora con le Acquelibere Ensemble con lo spettacolo “Almanacco indocile”. Il 9 settembre del 2018 su Radio Vaticana è andata in onda la sua intervista impossibile ad Abele, interpretato ancora da Pino Censi, nella trasmissione “Domande impossibili” curata da Laura De Luca. Il 27 dicembre 2018 è stata ospite di Radio Radio nella trasmissione “Un giorno speciale” di Francesco Vergovich nella rubrica “Affari di libri” curata da Maria Gloria Fontana.