Llanos Gomez Menéndez, prosa inedita, “La città di Dite”

Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo,
s'appressa la città c'ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo".

                                                                                                                                                            Dante (Inferno, Canto VIII, vv. 67-69)

 

 

Accadono le azioni in ogni prisma della figura geometrica sospesa nello spazio che trascorre sfibrando scene del secondo sul secondo. Un uomo e l’altro sempre più alto inghiottirono istanti in due atti e sottomettono i piani alla disciplina temporale, lasciando cadere frammenti.

Piano d’imprimitura: nella benzina, bagnate le mani scivolono in questo asfalto verticale che annuncia il percorso spezzato nell’angolo ultimo, spigolo dello scenario contiguo.

Piano d’imprimitura: leggo impercettibile in grigio immagini in grigio e cerco le impronte nel suono per affondare lo sguardo. Cade nel secondo sul secondo e raggiungo il confine che delimita questo prisma calligramma.

Piano di livello: motore ed esplosione di parole, l’operatore aspira significati, spazi in bianco, foglie secche e l’insetto cresce; tremore, sussurro che abita la macchina, l’attrito del suo esoscheletro in questo feretro meccanico: la divisione del lavoro sociale, De la division du travail social.

Piano ed altro ed altro scivolono sui tuoi occhi senza sguardo, conversazione con i riflessi e ogni sconosciuto sono io, e tu ed il mio nome.

Piano di simmetria: attaccare gli occhi per terra, risuona la cavità del tempo e trattiene un grido che si propaga metallico; dove vai quando ti chiamano e cerchi di sembrare una domanda ed i miei piedi fermi e in fiamme ed i miei piedi fermi.

Nel rovescio, il lampo servo del fango ghiacciato ripete: non vedrai niente e morirai, ti nomino e ti blocchi; il vento e il vetro attraversano la tua respirazione e i tuoi piedi affondano nella terra.

 

nel suono di brina

riscatto un nome affogato nel mio centro

osservo ripetizioni – sullo specchio della marea –

disegnate nella continuità

dell’immagine luce intermittenti

        lo scomparire di sguardi

        tra pupille, palpebre

e dimenticanza

 

Sospesa gira la figura geometrica, i prismi si accumulano e un uomo e l’altro sempre più alto inghiottirono istanti in questo atto e tentano di sottomettere i piani ribelli alla disciplina lineare e la simultaneità vola nell’area. Il servo del fango ghiacciato salta e afferra fortemente lo spigolo del piano di simmetria; quindi, penetra nel piano adiacente e sommerge il suo corpo nella benzina; ascende dopo essersi bagnato con l’asfalto verticale fino a raggiungere l’angolo dal quale precipitare volontariamente sull’operatore. La caduta frattura la macchina aspiratrice degli spazi bianchi, significati e occhi, liberano così l’insetto che in modo accidentale è stato catturato e prigioniero crebbe in quel recinto trasformato in armatura e sepolcro. Il suo corpo sprovvisto di carcassa rimane all’intemperie. L’operatore per terra gira la testa per evitare lo scomodo suono che emette l’animale immobile e che lui riconosce familiare: “Dite, Diteee, Diteeee”. Ecco, lì c’è il motore della sua macchina.

 

 

Llanos Gómez Menéndez (Madrid, 1974) è autrice della pièce teatrale Batallón ciclista e del libro Arco voltaico (Amargord, Madrid, 2013). Ha pubblicato gli studi La dramaturgia futurista de Filippo Tommaso Marinetti. El discurso artístico de la modernidad (Academia del Hispanismo, Vigo, 2008) e Expresiones sintéticas del futurismo (DVD, Barcelona, 2008), ha codiretto (con Alessandro Ghignoli) Futurismo. La explosión de la vanguardia (Vaso Roto, Madrid, 2011). Ha inoltre tradotto, tra gli altri, i poeti Antonella Anedda, Gabriele Frasca, Alessandro Ghignoli e i saggisti Adriano Fabbris, Michele Cometa e Stanislaus Von Moss.

Insegna Storia e Teoria del Teatro presso l’Università Nebrija di Madrid. Direttrice del programma radiofonico “Sala de Ensayo” (Círculo de Bellas Artes de Madrid), è direttrice della compagnia di arti sceniche “Loco-motora Teatro”.