Lisa Sammarco, prosa inedita, “Io, un falso d’autore”

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Anticipiamo la prosa con il testo poetico La parola in corpo

 

 

Mi pongo in mezzo

per farmi attraversare

sono una voce tinta

un fondo di bicchiere

la grammatica di un corpo

sono come se fossi

la brevità di un luogo

 


 

Io, un falso d’autore

 

Sabbia. La lingua è sabbia. Che non è come dire che la tua bocca è secca. No, è la lingua a sembrare sgranata. Le papille, o di qualsiasi cosa si tratti, sono grani giganteschi che si muovono disordinatamente. Pesanti, frizionano l’uno contro l’altro al rallentatore. Cercano una compattezza che possa permettere ai suoni di uscire dalla gola. Pensi: S A L I V A. Ne cerchi la sorgente. Dove. Scorri le pagine del tuo sussidiario. Sì, qualcosa di elementare che ti possa dare una mano. SALIVA. GHIANDOLE SALIVARI. È tutto ciò che riesci a mettere a fuoco. C’era qualcosa che volevi dire. Ricordarlo forse potrebbe essere d’aiuto. Potresti trovare acqua e un punto di partenza. Fogli. Hai i tuoi fogli. S’inchiodano però in un disordine che non hai voluto. Affiorano in una sequenza d’improvvisazione. Come mossi da un fremito d’autonomia si accavallano, giocano a nascondino con le tue mani nervose, ne senti il riso di scherno soffocato, ma non sai da dove proviene. Forse sei tu che stai ridendo di te stessa. Non hai tempo. Nella sala invece sembra infinito. Ti accorgi allora che il tempo sei tu, anche se hai dimenticato d’indossare le lancette.

Il silenzio è qualcosa da temere. Poi si spezza. Un suono. Non avevi mai pensato che “spezzare il silenzio” si potesse avvertire fisicamente. Nello stomaco. È che le parole scritte hanno sempre parlato una lingua silenziosa, ora che ci aggiungi il tuo suono sono un’altra cosa. – è voce?- ti chiedi- e se lo è, da dove arriva?-

Intanto ti sfogli. Le domande restano indietro, le riprenderai dopo per sapere chi eri e dove sei stata. Sfogli. Capisci che essere lì è tagliarti a poco a poco la pelle. Brandelli che cadono a terra. Forse ciò che cade non fa neanche rumore. Non sai decidere se è un bene o un male. Non sei sicura neanche che quello sia il tuo posto.

Nella grande sala c’è l’eco di dove eri prima di quel momento. Senti il mare. Lo senti come quando è troppo buio per vederlo. Ma forse sei solo tu a sentirlo, perché in fondo te lo porti sempre dentro come un amuleto. Ti chiedi anche se sei mai stata veramente in qualche posto, un posto con un nome, così da poterlo raccontare ora ad alta voce.

Hai un bisogno urgente di orientarti. Righe sfilacciate. Ogni parola un passo. Incerto. Cammini da una parete all’altra dentro l’aria. Fogli. E sabbia.

Sabbia. La tua voce è sabbia. Ricordati, ti dici mentre prendi fiato, non devi fissare il vuoto. Vuoto? Non c’è il vuoto finché tu esisti. Ma esistere non basta per tenerti ancorata a quella sedia. Il pavimento ti tradisce come una nuvola che ti piaceva e poi scompare.

Qualcosa. O qualcuno. Dovresti cercare qualcosa o qualcuno da guardare. Non sempre, solo di tanto in tanto. La ragazza. La ragazza è lì davanti. Minuta, stretta nella giacca nera. Il verde degli occhi le sta colando sulla sciarpa. La luce la prende di fianco. Sembra un dipinto. Ti sorride. -Ci sei- sembra dire- sei ancora quella di ieri.- Una sigaretta. Fumavate una sigaretta ieri sera. C’era vento. E faceva freddo. Il vento toglieva peso ad ogni cosa. Il freddo era una scusa se volevi tornare a casa. A nascondere il tuo nome sotto il cuscino.

Il ragazzo. Con lui hai fatto un viaggio in macchina con l’autore. Quello vero, uno di quelli che entra nelle sale con il passaporto in regola: titolo, copertina, e una dolce innegabile simpatia nelle mani. Non come te che sei lì da clandestina. Il ragazzo ha un sogno. Te lo ha detto la prima volta che ti ha vista. Tu gli hai raccontato della paura. Ma non tutta. Ma ora se volesse potrebbe attaccarti ad un aquilone e decidere quando è il momento di riavvolgere il filo. Sì, potrebbe tirarti a terra e strappare tutte le tue carte di navigazione, e tu non sapresti mai fin dove ti eri spinta. Saresti un’isola alla deriva. Isola. Isla. Lisa. Coincidenze. Fogli. Aggrappati a tuoi fogli. Nella stanza, tra le luci, gli spazi sembrano elastici. Si accorciano e si allungano. Tu non sai mai dove ti trovi realmente. In verità non sai se sei di carne o di suono. Saperlo potrebbe darti un’indicazione, una coordinata per andare avanti. O fra lo stupore potresti sparire dentro una nota vuota e molesta.

Non sei neanche sicura che la tua voce arrivi fino alla parete in fondo. Non sai neanche se c’è una parete in fondo. Hai occhi troppo piccoli per tendere lo sguardo. Con un dito ti sfiori l’angolo dell’occhio destro. Zoom. No, non funziona. Ogni gesto diventa inevitabilmente una pausa prima di ricominciare. Il tempo sei tu che ti trascini lenta in qualche stagione. Se fosse autunno si prenderebbe tutti i fogli che hai scritto, ti dici. Fossi tu un autunno di vento. Fossi tu un autunno di vento e le tue parole foglie, forse una folata improvvisa le farebbe cadere fra le loro mani. Fra le loro mani, foglie. Fogli.

Fermiamo tutto adesso e aspettiamo. Aspettiamo l’autunno e potremo leggere le foglie. Le tue parole ritornerebbero al silenzio, ma si potrebbero toccare. Amare qualcosa è così, e anche capire è così a volte. Qualcuno te lo ha anche detto tempo fa – ho bisogno di toccare ciò che amo- Amo ciò che tocco. Tocco ciò che amo. E il resto? No, non è così semplice scegliere la via della concretezza. Il resto si tramuta in un rimpianto. A volte, non sempre .

Carta. Inchiostro. No, non come te che ti perdesti quando t’innamorasti di un amante della Cina del Nord . Lui non era te che amava. Lui non esisteva neanche, ma tu non ci dormivi, camminavi su e giù, guardavi il mare, il racconto dei suoi occhi e lo amavi lo stesso. Lo ami anche adesso perché capita che sei tu il tempo e il tempo è sempre.

Carta. Inchiostro. Non sai se è una buona idea pensare a questo ora. Meglio affidarsi a qualche appunto. Li versi dalla gola. Versi. Anche se vorresti ora una matita rossa per le correzioni perché scrivere è così, si possono sempre eliminare gli errori, si può anche imbrogliare, non è come la vita che comunque la racconti, dentro di te sarà sempre solo come l’hai vissuta.

Il suono adesso è indolore. Gli occhi sono anestetizzati da una luce che appare e scompare, non riesci a capire se lo sono anche le gambe, questo lo scoprirai dopo. Dopo scoprirai anche in che modo i tuoi fogli si riordineranno, se mai ci riusciranno ancora. Ma lo farai dopo, quando ritornerai al mare. Al caos delle tue stanze. Al silenzio nel buio. Al vizio della tua vita qualunque.

Poi l’ultima parola cade, ruzzola sul pavimento dopo un interminabile istante in cui credi che non riuscirà mai a toccare terra e riportare anche te a quella che sei. Un’isola. Isla. Lisa.

 


 

Lisa Sammarco è nata ad Amalfi.

Di sé afferma: "Considero la presenza di miei testi sia di narrativa che di poesia in alcune antologie del tutto irrilevanti. Mie prose, poesie e traduzioni di alcuni poeti americani fra i quali Frank O’Hara, Jack Spicer, Philip Levine sono state ospitate in alcuni importanti lit-blog come Nazione Indiana, La Poesia e Lo Spirito, La Dimora del Tempo Sospeso. Da alcuni anni curo il blog Falso D’Autore. lunamareterra.wordpress.com Ad oggi tutti i miei testi sono inediti".