Antonio Scaturro, poesie inedite da “Notturna”

[...]come la storia delle arterie

all’altezza della mia morte[...]

 

se lo sguardo d’un tratto

(inconsapevolmente) si facesse tatto,

potrei allora - ma solo allora -

cedere al gesto l’angoscia,

le pupille come mani a verificare

il palpitio, il tremolio

che niente sa

e niente dimentica.

 

il battito lento, significa sul tamburo

dell’occhio

e in nessun altro luogo

che non sia mio, in nessun altro

nome che non sia il mio.

 

 

***

 

se fosse anche solo un osso

una frattura interna congeniale al dicibile

uno scricchiolio che contrasta con il silenzio degli organi,

che si estende a macchia d’olio,

che invade e valuta il cranio,

lo abita.

 

se fosse la congestione a fare di te

l’altare del freddo sismico

uno slancio verso il pallore

ti amerei, patologia mai verificata.

 

ma c’è dell’altro: il sonno non vale

come anestetico, e di notte ti penso

come si pensa a una scossa: con tutto il tremolio

del corpo raccolto dalla palpebra.

 

 

***

 

ricordo di quel giorno

che sembrava non contenere nessuna notte;

nessun principio della fine.

in un unico sonno spariscono i secoli, si estinguono

e ricordano le antiche bestie feroci. ritornano, a volte zoppicanti,

con i loro musi tristi a ispezionare il bruciato.

 

ci si sveglia, come se qualcuno l’avesse chiesto.

nella pesantezza del torace

si scioglie la tosse, nella camminata - sentiero da me al

non so dove - quando sparisci, e rimane il solco,

l’erba pressata, le pietre,

a formare un “forse torno, forse no”.

 

 

 

Nottu(urna)

 

 

 

I testi marciano alla guerra

 

 

- il testo al fronte che prediligo è il cecchino -

fuori dalle parentesi la morte si annuncia come

un’esondazione, trabocca dal testo.

“perché quel che racconto questa sera avviene questa sera, a questa stessa ora”

è così naturale la morte frontale, così tirata a lucido

senza sbavature.

la laterale giunge a

spiazzare le ore invece, fa fronte con le fionde,

ci costringe al punto e virgola; morte laterale.

 

la morte abita ogni girone dell’orologio

Oh gironi orrendi. In così verde etate!

tutti noi, da piccoli,

abbiamo preso quella botta

tra i piedi e la nuca

che ci consegna - un dono nel suo livello massimo di generosità -

la sventura del domani.

 

quando dormiamo in sospensione, la mattina

(appostata com’è dietro le cose) ci fredda al volo.

spesso la notte ci misura la febbre con un bacio della fronte,

mentre le gambe del letto

affette (come lo sono spesso)

da sproporzione, ci passano la torcia.

il prossimo fuoco dista un sonno. Solo uno.

 

 

Il futuro è una fila di bambini nati morti

 

la morte non è mai stata qui,

tra le cose ancora in corsa.

è sempre stata lì, al riparo:

nel principio di ogni dove.

 

“essere è essere incastrati”

la violenza di tutte le cose che sono

(fuori dalla nostra portata) ci colpisce, e noi

contiamo i reduci, i residui di questo corpo,

- abbiamo rivendicato anche l’ultimo colpo -.

 

non è necessario questo peso

questo cuore che impazza

prende sangue, rende marmo.

 

“mamma mi fa male la morte

all’altezza della vita”.

 

non siamo mai scivolati, abbiamo da sempre

preteso lo sfregio, l’attrito del corpo contro

tutte le cose.

 

- noi non siamo che il nostro cadere -

 

ma ancora prima di cadere non siamo

che le nostre mani disperate

che fiutano il fuoco

e trovano cenere.

 

Antonio Scaturro è nato a Giaveno il 27 aprile 1992, abita a Orbassano e frequenta il corso di Culture e Letterature del Mondo Moderno presso l’Università degli Studi di Torino.

Finalista del concorso “Opera Prima” edizione 2012.