Ghérasim Luca, da “La Fine del mondo” con una nota di Alfredo Riponi e Rita R. Florit

Ghérasim Luca, La Fine del mondo, Joker edizioni, 2012, a cura di Alfredo Riponi, trad. di A. Riponi, Rita R. Florit, Giacomo Cerrai.

 

Ghérasim Luca (Bucarest 1913 - Parigi 1994), è restato a lungo quasi uno sconosciuto anche in Francia. Fino a che Gilles Deleuze lo definirà il più grande poeta del secolo scorso. “Se la parola di Ghérasim Luca è così eminentemente poetica, è perché egli fa del balbettio un affetto della lingua, non un’affermazione della parola”. Ghérasim Luca si voleva “hors la loi”, nel non essere di nessuna lingua e nel suo essere apolide, perché “nella lingua c’è una funzione conservatrice e chi ne fa uso contribuisce a rafforzare il sistema”. Aveva ripreso con una nuova connotazione l’espressione “hasard objectif” di Breton, facendola diventare parola-chiave della creazione poetica. L’esperienza delirante e ossessiva del poeta, a contatto con alcuni oggetti, gli fa scoprire che “noi forziamo il caso ad apparire, a oggettivarsi, perché le nostre inclinazioni all'amore-odio trovano nel mondo degli oggetti esterni un'equivalenza quasi continua”. I punti di contatto tra l’opera di Ghérasim Luca e quella di André Breton sono molteplici. In primo luogo “L’amour fou” appare come il testo totem. Ma Breton è anche la figura che resta sullo sfondo, che Ghérasim Luca ha sempre voluto tenere a distanza, rifiutandosi di incontrarlo personalmente. La poesia deve “esprimere l’inesprimibile” secondo la formula di Ghérasim Luca. Nuove relazioni appaiono solo in seno ad una sintassi sconvolta. Due parole chiave definiscono l’opera di Ghérasim Luca: silensofono e ontofonia. “Colui che schiude la parola schiude la materia”. “Passionnément” è il testo più famoso di Ghérasim Luca e il primo esempio del “balbettio” e della sua “cabala fonetica”. La parola è smembrata; la vocalità è essenzialmente suono, ripetizione di fonemi: durezza, dolcezza, chiusura, apertura, scivolamenti, collisioni. L’andamento ipnotico è percepibile fin dai primi fonemi lanciati in successione. «pa pa papapa pa / pa ppa ppa papapa / il pa passo il passo falso il pa / papapa il pa il mal / il malva il malvagio pa / pa pa pa il passo il papà / il malvagio papà il malva il pa / pa pa passa papapassa / passa passa esso passa esso pa pa / esso passa il pa del passo del papa / […]». Il poema è un violento invito a sollevarsi contro tutto ciò che nega la passione, dalla figura paterna fino alle microscopiche inclinazioni personali, alle follie delle nazioni.

Le tangage de ma langue. È un testo inedito, costituisce un’arte poetica, ma il suo effetto dirompente è dato dalla recitazione. Una parola sonora, come quella di Artaud. Non fu mai preso in considerazione per una pubblicazione in una raccolta, ma se ne trova traccia scritta in un libretto per una trasmissione radiofonica del 1970 e per il film per la televisione realizzato da Raoul Sangla “Comment s’en sortir sans sortir”. “È come se la lingua intera si mettesse a rollare, a destra e a sinistra, e a beccheggiare, indietro avanti…” (G. Deleuze). “Ho sempre avuto l'impressione di essere pensato come Lautréamont («… on me pense ») e Rimbaud (« je est un autre »), ma mai mi è capitato che questo altro che mi pensa uscisse da me e apparisse davanti a me in maniera concreta e sensibile come qualsiasi oggetto esterno” (Ghérasim Luca).

 

Al limitare di un bosco. L’ultima raccolta a cui Ghérasim Luca lavorò (La Proie s’ombre), contiene nel titolo la ragione del suo intero percorso poetico. “Il linguaggio poetico ha accesso agli oggetti del mondo come tante prede che s’oscurano” (D. Carlat, Ghérasim Luca l’intempestif). André Breton, in L’amour fou, aveva scritto: “Il surrealismo disdegna, in ultima analisi, sia la preda che l’ombra, per ciò che non è già più ombra e non è ancora preda: l’ombra e la preda fuse in un unico bagliore”. In origine “Al limitare di un bosco” faceva parte di un’opera collettiva: “Les inspirés et leurs demeures” che riuniva testi di B. Péret, G. Luca e C. Tarnaud (cf. D. Carlat, op. cit.). Il testo di Ghérasim Luca ruota attorno alla figura di Joseph Marmin, contadino della Vandea, villaggio di Les Essarts, esperto nell’arte della “topiaria”, taglio degli arbusti fino a far loro assumere una forma zoomorfa. La poesia insegue l'idea del  “mito di una specie di giungla utopica” che “sorge nel mondo”, la possibile utopia di una coesistenza uomo-natura, un incrocio, all'interno del cerchio delle forme, di driadi (ninfe dei boschi), druidi (sacerdoti astrologi e maghi) e uomo. 

Scarcerazione. Con “Levée d’écrou”, raccolta pubblicata postuma, Ghérasim Luca “propone al lettore l’avventura inaudita e vertiginosa di una liberazione attraverso l’assenza” (D. Carlat, op. cit.). Ventitre lettere indirizzate a uno sconosciuto dal 6 novembre al 2 dicembre 1954. È l’altro, lo sconosciuto, ad essere interpellato; è il destinatario di un discorso che lo convoca di fronte all’inevitabilità del suo esistere e alla sua assenza. È il lettore stesso, destinato a restare anonimo, che si deve riconoscere come il destinatario dello scritto (della lettera). La corrispondenza scrittore-lettore si chiude sul gesto di una doppia separazione, perché ciò che li lega l’uno all’altro è soltanto il linguaggio, legame impossibile che rinvia ognuno alla propria solitudine.

 

***

IL BECCHEGGIO DELLA MIA LINGUA

Parole duttili

e fin dall’inizio celate:

la conca del silenzio sfiora quella delle scogliere...

perciò questo racconto

 

Catturato dal magnete del nonsenso

parlo pressappoco di questo

per dire precisamente quello

 

Io sono ahimè!

dunque mi si pensa

 

(Il cieco mira all'aquila
e tira su un sordo)

 

Così io vivo

ciò che vedo

e la mia voce si vota

all'io che s’estingue

 

Come il «duttile» nel dubbio

sono io il «suono» dei miei sogni?

All’ascolto di quest’’orgia

di parole e di asceti

il mio Demone sonoro agisce

su un mondo che si nega

s’annega e s’annoda

in fondo alla mia gola

Stregone per onde ritmi

orde…

 

Per il rito della morte delle parole

scrivo le mie grida

le mie risa più che folli: false

e la mia etica fonetica

la getto come un sortilegio

sul linguaggio

 

Al di qua di questo

e al di là di quello

Fuori fuori di me

 

Perché essere altrove

strappa prima l'ora

poi il metro

la loro fine è qui

muro del suono

dove si fucila un eroe

infinito

la cui onda invisibile

getta un tessuto di parole

- un infimo drappo funebre -

sul nudo di una muta

sdraiato come un otto

nelle braccia dello zero.

 

***

AL LIMITARE D’UN BOSCO

Al limitare d’un bosco

i cui alberi sono idee svettanti

e ogni foglia un pensiero allo stremo

il vegetale ci svela

il fondo dannato d’una setta animale

o più precisamente

una remota angoscia d’insetto

che si risveglia uomo

sola via

unica fondamentale arma

per animare il mentale

che mi affretto a scrivere mantale

come mantide

solo per marcare

con un secco riso d’allarme

la parola che divora

Entità e antitesi della boscaglia

una sorta di spazzola organica e selvaggia

spunta nella testa di quest’uomo

che l'eresia dei parchi e delle serre

devasta

come una bella porta

l'orgasmo di una chiave

 

Così la passività leggendaria

la nobile e stillante passività delle piante

si tramuta ora in odio ozioso

in rabbia folle

in sesso rissa e sfida

la cui attrattiva è linfa sangue lava…

e svelta come il passaggio dalla donna

alla belva

ci lava d’una sporca ferita

ancestrale

e di colpo ci allevia

da questi continui lamenti

da questi falsi rantoli che ci sondano

e che sono i nostri gesti imperturbabili di sepolti

Ora solo il terrore

è ancora in grado d’immettere

nel tropismo del corpo e dello spirito

colpevole

questo prisma a doppia eco

dove cervello e sensi captano

la violenta innocenza

d’una flora e d’una fauna

le cui nozze sono un lungo ratto

e uno stupro lento come l'oro

nel piombo implacabile

 

Ed è attorno all'equatore mentale

nello spazio delimitato dai tropici

di una testa

all'angolo e nel contorno dell'occhio

che il mito d’una specie di

giungla utopica sorge nel mondo

 

Vergine come l'inconoscibile

o l'altra «faccia» della luna

e mai a tiro di fucile

o d'ascia

la sua preda è neve

sabbia bilia anca o trappola

che il respiro diffuso d’un sogno

accende

 

Perché intrecciati

saldati a enormi chiavi come viticci

le liane

i rami i forni e i riti

si fondono

nel cerchio delle forme poste

come per miracolo

all'incrocio delle driadi

dei druidi e dell'uomo

 

Altrettanti punti di mira

questi nonnulla che

fuori fuori dal tempo

dal luogo e dal peso

scelgono una specie di coppia oasi

e villaggio

per discendere negli dèi

prima delle ere

gli dèi-sito-bestia-isola-cenere-fuoco

usciti dall'accoppiamento dell'uccello

e del ramo

e che gli esiliati dal centro

e dall'ombra di un fogliame d’oro

adoreranno un giorno

tra le mura delle loro città oscure

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SCARCERAZIONE (LEVÉE D’ÉCROU)

13 novembre 19..

Signore,

 

Anche se avete il coraggio d’affrontare qualsiasi pericolo mortale, non siete tuttavia pronto a versare il vostro inchiostro sull'assoluto. Dalla più tenera infanzia, siete stato torturato da inspiegabili esitazioni, da brividi che raggelavano ogni iniziativa, che vi contraevano nervi e muscoli, per esempio: quando vedevate della biancheria bagnata strizzata da una domestica, eravate letteralmente pietrificato.

Chi siete? Che cosa vi manca? Che cosa dovete fare?

Una sola risposta s’impone: siete inevitabile.

D’accordo, ma qual è, esattamente, il contenuto di una tale affermazione?