Stefano Modeo, videolettura da “La terra del rimorso”, Italic 2018, nota di Giorgio Bonacini


Se possiamo definire la poesia un’attività in cui il cambiamento è il suo movimento connaturato, ci sono libri, come questo, che ci confermano questa idea. Modeo, infatti, ci dà una scrittura che è vera e propria esperienza del sentire e della mente. E il segno a fondamento di questi testi, lo dice l’autore fin dall’inizio, è “un verso che risuona straniero”. Chiediamoci allora se potrebbe non essere così. Perché l’atto di poesia (comunque e dovunque venga fatto, per stili, modalità, luoghi, riferimenti e ogni altra singolarità propria) è sempre estraneo alla consuetudine normale e normativa della lingua ordinaria. “Le parole sono tante le idee sono poche”: così l’autore condensa la pratica della sua poesia. Ciò di cui la poesia ha bisogno è la povertà della parola, che si arricchisce continuamente, quando si concentra e aderisce alle cose. Un’adesione che non significa, però egocentrismo o personalizzazione. L’io poetico non è mai il soggetto che scrive, bensì una collettività interiore che sovverte la falsa comunicazione. E’ un no, precisa Modeo, che dice se stesso diffondendo il contrasto e capovolgendo l’esclamazione no! Dove il punto esclamativo diventa la i di noi. Per ritrovare ciò che si è perso nelle ”nenie consonantiche dei giullari” di “popolo senza vocali naturali”.

 

 

*

Volo all’altro capo del paese
ciò che lascio ogniqualvolta
è un verso che risuona straniero
un’onda di mare che brucia salina
quella ferita mal ricucita di spina.
Un’umanità indecorosa e piena di grazia
dalla faccia istruita alla violenza del sole.
Torno all’altro capo del Paese
lascio una lingua, una gestualità.
La vita fatta a rottami dove rullano i tamburi
e le notti randagi
di giovani padri
di baci rubati.
Arrivo all’altro capo del paese
mio nipote è già un uomo con delle parole
lo sentirò comprendere e descrivermi dove vive
mi dirà forse un giorno a che punto è la guerra
riconoscerà a fondo ciò che io chiamo: la terra
del rimorso

 

*

La piazza semivuota del tuo cuore.
Hai percorso la piazza.
Hai smesso di guardare il passo tuo nella piazza:
tra la gente cercavi la tua gente.
Scarpe e volti nella piazza mattutina.
Le parole sono tante le idee sono poche.
Sei tornato a casa e hai scritto una poesia:
la leggeremo in piazza, risuonerà alta:
nella piazza semivuota del tuo cuore.

 

*

Affrancarsi: prendere per mano la lingua morta
riportarla nei laminatoi a freddo
Lingua bene comune!
(poi: additarsi le destre passioni, stanarle)
Non imitare: uccidere lo standard:
A morte l’io.
Il pensiero nasce sempre per contrapposizione
No!:
sovvertire il punto esclamativo:
noi.

 


Stefano Modeo (Taranto, 1990) vive e lavora come insegnante a Ferrara. Ha pubblicatonel 2018 La Terra del Rimorso per la collana Rive (ItalicPequod) con una nota diRoberto Deidier. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati o si è parlato del suo libro suYAWP: giornale di letterature e filosofie, Poetarum silva, Poesia del nostro tempo, Midnight megazine, Atelier poesia, sulla rivista Poesia (Crocetti editore), Nuova Ciminiera. Ha collaborato con il web magazine Siderlandia.it.