Annamaria Ferramosca, da “Ciclica”, La Vita Felice 2014, nota di Davide Campi

La lingua poetica di Annamaria Ferramosca è complessa e poco prevedibile, fondata sulle intrusioni, di forma e di senso: “…forme disperse disperate da deportare/in fili d’aria files” ma anche: “nascita che ritarda ancora/grido che non erompe/eppure ogni istante si rompono le acque/e terre dilavano in diluvio”.

C’è in molti dei testi un solido principio di necessità, posizionato all’inizio delle strofe, da cui la strofa stessa si sviluppa, allontanandosene a spirale, aumentando mano a mano lo spessore evocativo, per poi chiudere con un repentino riavvicinamento verso il mondo reale: “neve parola bianca/delicato peso che dice/l’usura della terra e preme/piano preme sui rami/per infinite lentezze da vendicare/-tonfi sulle auto lasciate sotto i pini-“.

E c’è un gentile e misuratissimo senso del dramma, mentre descrive di questo assalto caotico della vita, di questo di allarme perenne di cui siamo tutti oggetto, configurando perfino una qualche forma plausibile di redenzione: “…forse soltanto allora potremo raccontare/di atlantidi affiorate/di infiniti modi per sprofondare/uno per riemergere”.

 

 

Dalla sezione “Urti gentili”

 

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mai più riproducibile o seriale

questa lingua vorrebbe solo arti-colare

bellezza tornare alla prima neve

all’origine sillabica del fiume

puro occhio

 

con la lingua vorrei solo esultare

soffrire delle cose sulle cose far luce

anche feroce - sventagliando laser -

o velarle le cose di compassione

coprirle scoprirle interrogarle

romperle corromperle

ammalarle infettandomi guarire

restandomi nella voce – irrimediabili –

i segni del contagio e della cura

 

 

Dalla sezione “Ciclica”

 

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scavo a mani nude negli angoli

avida dietro vite minuscole

sul fondo la finitezza che disàncora

 

ci sarà un punto segreto su cui far leva

dove affondano le radici

si assestano le fondamenta

termine di terracielo confine limpido

dove culmina la vertigine ammicca il démone

da cui spiccare il volo

nella chiarità o nell’abisso?

 

 

Annamaria Ferramosca, salentina di origine, da molti anni vive e lavora a Roma. E’stata per alcuni anni cultrice di Letteratura italiana all’Università Roma3. Fa parte della redazione del portalepoesia2punto0.com, dove da alcuni anni è curatrice della rubrica non autoreferenzialePoesia Condivisa da lei ideata>. Ha presieduto il Premio di Poesia De Palchi- Raiziss e fatto parte della giuria del Premio Davide Maria Turoldo e del Premio Don Milani.

Ha pubblicato in poesia:Il versante vero, Fermenti, 1999;Porte di terra dormo, Dialogo Libri, 2001;Porte / Doors, Edizioni del Leone, 2002, traduzione inglese di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti; Curve di livello, Marsilio, collana elleffe a cura di Cesare Ruffato, 2006;Paso Doble, Empiria, 2006, raccolta di “dual poems”> (poesie bilingui a quattro mani), coautrice Anamaría Crowe Serrano, con traduzione inglese di Riccardo Duranti ;> Canti della prossimità, silloge contenuta in La Poesia Anima Mundi, monografia a cura di Gianmario Lucini,

punto acapo editrice, 2011(con cd audio); Other Signs Other Circles (Altri Segni, Altri Cerchi ), raccolta antologica di poesie 1990-2009, Chelsea Editions,New York, collana Poeti Italiani Contemporanei Tradotti, 2009, Introduzione e Traduzione di A. Crowe Serrano.