Angelo Andreotti, da "Dell’ombra la luce", L'arcolaio 2014, nota di Davide Campi

Angelo Andreotti è un poeta colto.

Si avvertono, nelle sue scritture, oltre alla passione per il dire poetico, anche tutte quelle capacità che derivano da un lungo e paziente esercizio di studio del mezzo espressivo.

E dunque, all’interno di forme classiche, con linguaggio alto, si può facilmente notare l’esito di un meditato lavoro di equilibratura degli esiti sonori e ritmici in una interessante convergenza fra scelte lessicali e appropriate cesure dei versi: “così come di notte dell’ombra/si perde notizia/e della luce/si cerca ovunque traccia…”.

Ma si avverte anche l’urgenza di completare l’approccio puramente estetico con modalità espressive che diano conto di un diverso e meno scontato spessore di pensiero (proseguendo la citazione dello stesso testo): “…(benché entrambe si stiano abbracciando/a parole spogliate nel buio)…”.

Un enigma, come avverte Duccio Demetrio nella postfazione, lirico e filosofico insieme.

Da un lato la luce come fattrice della visibilità del mondo e del suo racconto e dall’altro l’ombra come misterica fonte di comprensione, insieme composte nelle loro declinazioni naturali, narrate sotto lo stesso cielo e mai completamente separate.

Anzi, propriamente, rese inscindibili dallo stesso pensiero che prova a definirle.

 

 

Prologo

Come nascosta nel verbo di un àugure
non ebbe fine la luce al suo inizio,
fu dopo,
             fu quando si vide occultata,
a se stessa negata
                           scivolando
nel vuoto dietro a un corpoaccarezzato.
Sentì mancarsi
                       e si mancò,
volse in ombra
                       ecco:
                                 si fece mondo
e per sempre incarnata fu anche spazio.
Poi in alternante sovrapposizione
fu forma delle cose,
                                 mentre l’ombra
che luce non guarda
                                 l’andava amando.

 

1, I

E man mano che arriva
la luce riordina il mondo, allude,
imbevendosi d’aria
fa largo alle cose.
Le accoglie in colori appropriati,
ne annuncia i luoghi con semplice gesto,
pienamente tutto amando
nell’ospitale offerta di orizzonte.

Ciò che di oscuro resta
è reso dallo sguardo dei veggenti
nella parola imparata da capo,
benché nulla sia prescritto,
benché nulla venga aggiunto.

 

Angelo Andreotti vive a Ferrara dove dirige i Musei d’Arte Antica e Storico-Scientifici. Nell’ambito della scrittura creativa ha pubblicato: Porto Palos, Book 2006; La faretra di Zenone, Corbo 2008; Nel verso della vita, Este Edition 2010; Parole come dita, Mobydick 2011.

Sue poesie sono state pubblicate in antologie e riviste, sia cartacee che on-line.

Fa parte del gruppo fondatore dell’Accademia del Silenzio di Anghiari.