Flavio Ermini, Ranieri Teti, Mario Varini

Ranieri Teti su “In un punto” di Roberto Perotti

La poesia di Roberto Perotti porta con sé il senso dell’infinito, la trama del continuo ritorno.

Si pone come l’oggetto espressivo di una prossemica spaziale.

Ci induce a far di conto con il dubbio, ci conduce a immaginare un destino di domande senza risposte.

E’ come se l’autore si fosse posizionato in un punto indeterminato del cosmo e da questo punto osservasse il ritornare della storia, il passare delle epoche, l’incommensurabilmente grande e i minimi accadimenti quando diventano scintilla.

Ranieri Teti su Nel riflesso d’una luce di Renzo Piccoli

La poesia di Renzo Piccoli, innestata nel clima di una lunghissima norma poetica, si sviluppa per accrescimento continuo attraverso un incessante aumento del senso.

L’autore agisce con sempre nuove stratificazioni, quasi come in un crescendo musicale; a differenza di questo, il crescere non è dei toni ma del senso complessivo dell’opera che sempre più si approfondisce e scandisce, come il flusso di un lungo assolo, una complessa sinestesia.

Ranieri Teti su Appunti d’iperestetica di Anna Maria Dall’Olio

Anna Maria Dall’Olio introduce il lettore alla sintesi di un metatesto, posto al confine, al quadrivio, tra esperienza estetica, etica, arte, forma poetica.

Quattro angoli che sommati generano una sorta di grado ultimo delle possibilità espressive.

In questo frangente di vita estetica l’arte penetra l’etere del mondo / il pianeta s’annuvola di bello.

Marco Furia su Le ceneri di Adriano di Maurizio Solimine

Il tempo del sempre

All’inizio di “Le ceneri di Adriano”, articolato ma agile poemetto di Maurizio Solimine, si leggono i versi:

“d’Adriano accennano e numi

delle fronde stordiscono l’argilla
della campagna. È l’ora che assorta”.

Marco Furia su Olio santo II di Fausta Squatriti

Una poesia civile

Con da “Olio santo”, Fausta Squatriti presenta un’agile e pregnante composizione in cui il secondo e il terzo verso

“profilo contorto sfinito

paesaggio senza pena terso”

gettano una sorta di assertiva luce sull’intera poesia.

Marco Furia su Palpiti, sontuosi sacrari di un cupo artificio di Vittorio Ricci

Una poetica enumerazione

Vittorio Ricci presenta un componimento (la cui prima parola, non a caso, è “palpiti”) che mostra un susseguirsi di pronunce poetiche sinuose e coinvolgenti.

Quale il senso di simile versificazione?
Siamo forse in presenza, per citare l’autore, di un

“Emblema, bersaglio di un segreto sproposito …”?

Giorgio Bonacini su Mise en abîme di Paolo Donini

Quando lo sguardo del poeta sceglie un segno o anche solo un suo visibile ritaglio, muovendosi lentamente in una direzione prospettica che coglie quel particolare dell’ immagine, con nitidezza leggera e, nello stesso tempo, con attenta percezione visiva dello scrivere, allora reale e sogno si uniscono in una visione in cui la certezza di ciò che si vede non si disgiunge mai dalla parola che, con lo stesso andamento immaginifico, ne dice la forma sostanziale e significante.

Laura Caccia su Α & ω di Francesco Fedele

L’alfabeto dell’etica

Tra inizio e fine, assecondando possibilità e vincoli offerti dal tautogramma, Francesco Fedele declina in “Α & ω” tutto l’alfabeto dell’esistere.

Laura Caccia su Carrube di Vittorino Curci

I doni assenti e presenti della vita

Sono “doni terrestri” quelli che Vittorino Curci sgrana in “Carrube”, con una pluralità di immagini e di ritmi che orchestrano la pulsazione della vita, le cronache dei vivi e dei morti, le sincopate domande di senso.

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