Marco Furia su “Mimi e sonnambuli” di Vincenzo Di Oronzo

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Obliquo oboe

Conscio dell’ ambiguità insita nella comunicazione linguistica, nonché dell’ umana attitudine allo scambio idiomatico, Vincenzo Di Oronzo, con “Mimi e sonnambuli”, offre una raccolta di versi in cui vividi impulsi verbali ispirano pronunce rigorose e calibrate, quasi a contenere (suggestive) fughe dal senso presenti, con evidenza,  nello stesso accostamento delle parole (“Abiti vuoti si accoppiano in ottagoni blu”).

Né mancano laconici richiami allo svolgersi di azioni in apparenza quotidiane (“Questo scorrere di cani bianchi al guinzaglio”), toni di stampo espressionista (per esempio il martellante ripetersi, nella poesia che inizia con il verso appena ricordato, dell’ aggettivo dimostrativo “Questo”), cortocircuiti linguistici tali da rivelare inclinazioni a definire, chiarire, un urgere intenso, non represso, destinato a rimanere entro enigmatici àmbiti (“I visitatori seduti/ Sulle panchine barocche”), tratti di liricità vivace, mai debordante, dagli esiti addirittura denotativi (“Bagliori di sandali/ Le ragazze oscillanti nella sera”), echi di fenomeni naturali riportati sulla pagina con evocativi, affascinanti, effetti (“Vuoti di vento”).

Il tutto a mezzo tocchi decisi, eleganti, capaci di suggerire la presenza di una ineffabile entità, ìndici di ostinate scelte espressive nel dipanarsi di esistenze in cui “Dentro” e “Fuori” risultano distinti quanto fusi e “Un oboe obliquo” è “la mente”.

Di allusiva leggiadrìa l’ immagine proposta in copertina da Bruno Conte.

(Vincenzo Di Oronzo, “Mimi e sonnambuli”, Edizioni Empirìa, Roma, 2007)