Marco Furia su “Lo spostamento degli oggetti” di Alessandro De Francesco

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Passionali oggetti

Con “Lo spostamento degli oggetti”, Alessandro De Francesco sorprende per una spiccata attenzione verso gli oggetti (e i fatti) quotidiani: non si tratta di mero intento denotativo, né di atteggiamento di gusto pop più o meno impegnato, né di surrealismo di maniera (mentre una genuina vena richiamante le idee bretoniane fa capolino qua e là), si tratta, davvero, di (poetica) riflessione sulla vita e sulla morte.

Richiamato Wittgenstein (“Gli oggetti contengono la possibilità di tutte le situazioni”), con citazione posta in corrispondenza della sezione intitolata come l’ intera raccolta, svolgendo, sicuro, suggestive sequenze di elementi diversi concatenati in una sorta di, talvolta spiazzante, eterogenea omogeneità, il Nostro intende mostrare (e vi riesce) che oggetti siamo anche noi, ossia che tra uomini e mondo esistono interscambi continui, incessanti, non rigidi confini:

“ ti cercherò nelle aperture della materia / nelle bolle che s’ incanalano tra gli attimi / mi costruirò la tua presenza”.

Ma, quanto costituisce (enigmatica) vita richiama inevitabilmente il suo termine:

“la fuoriuscita imprevista / dell’ idea di morte quella mattina davanti allo specchio”.

Nemmeno poi tanto “imprevista”, poiché:

“cos’ è la morte    ci sono sempre gli oggetti a ricordarcelo”.

Questa poesia constata, prende atto di uno stato di cose e il dato affettivo, pur manifesto, si presenta non nelle tipiche forme di argomento esterno, bensì quale entità tendente a confondersi con lo stesso discorso.

Ne scaturisce, così, un fecondo esempio di come una versificazione attenta e perfino succinta, priva di sbavature, possa giungere a esiti di alta concentrazione emotiva in virtù di propensioni d’ affetto riferite agli stessi oggetti in quanto osservati e vissuti da un io partecipe, a tratti sofferente.

Oltre le frontiere della vita stessa, certo, non ci si può avventurare e tale assoluta invalicabilità suscita sensazioni e parole intense, non tenui: ebbene, De Francesco riesce a rendere testimonianza del comune, estremo, limite per via di vigili, controllate, scansioni in cui nondimeno l’ apatia, per originali vie interne alla lingua, risulta senza riserve bandita.

Gli oggetti, davvero, dicono: il poeta sa ascoltarli.

(Alessandro De Francesco, “Lo spostamento degli oggetti”, Opera prima, Cierre   Grafica, Verona, 2008)