Francesco Lorusso, dalla raccolta inedita "Il Secchio e lo Specchio", nota di Laura Caccia

Tra le assenze e i riflessi

Sta nel gioco di specchi, la cui superficie statica riflette “quel che resta sulla faccia / inflesso dalla lunga minaccia”, e di secchi, dove il tremolio dell’acqua moltiplica le facce, la trama di maschere e riflessi che Francesco Lorusso fa vibrare in “Il Secchio e Lo Specchio” .

Sono riflessi insidiosi del tempo, poiché, scrive l’autore, “da sempre è l’imminenza che ci minaccia”, evidenziando un desiderio ribadito più volte e sempre insoddisfatto di permanere nel cuore della temporalità.

E sono riverberi dello spazio, di quello esterno che riflette inquietudini “nello specchio amaro della via”, di quello interiore messo in luce da perdite e separazioni e di un altrove che si affaccia nell’alitare di un battito, quando “ti fissa tra gli occhi l’assenza”.

E sono insieme rispecchiamenti dell’io e delle cose, dove le grinze, le fessure, le crepe disegnano i riflessi, come mette in luce Francesco Lorusso, sia dei volti, “dentro gli specchi doppi oramai grigi di luce / che sono simili alle grinze che ci cuce la sorte”, sia del mondo, poiché “dentro la grinza / ti parlano alcune cose / con un riflesso freddo / che ne sciacqua le crepe”.

E anche il dire trova i suoi riverberi, come precisa l’autore, tra le screpolature di “parole marchiate / da una balbuzie digiuna e diversa” e un suono a volte “lontano senza più luce”, a volte che “insiste… che cerca ragione”.

 

 

Dalla sezione “Il secchio e lo specchio”

 

***

Rapsodie diffuse silenziano la notte
ti trascinano fuori dalle acque aperte
da questo fiato inceppato nell’onda

Sono i corpi che muovono la paura
sul mare delle parole marchiate
da una balbuzie digiuna e diversa.

 

***

Sei aperto da fessure al vento
frutto del lavoro di chi paga
di colui che consuma il nome
sul segno certo di suole sconosciute

le voci di una prigione indistinguibile
nervo montante di finestre troppo simili
a forme fatte lunghe di luce già mozza
mantenuta meticolosamente nascosta
all’ascolto di quella parte comune di bocca.

 

***

Così ritorno nella stanza nuda
fra l’umore immutato dei mobili,
la sedia sperduta che non mi aspetta
e un suono lontano senza più luce.

 

 

Dalla sezione “Sette interpunzioni strette”

 

2.

e ci stava solo un frammento finito fra le fessure
un luogo comune che ci costava fatica e respiro
il fianco sciupato dalla piega sana del camice
e la narice sottesa sui movimenti senza suono
ad accogliere il rigore composto del nuovo corpo

il foglio buono delle figure fitte ora affastellate

 

3.

la festa oramai finisce nella forza fiera dei tuoi giorni
attraverso il braccio sotteso sulla tua parola perduta
ma sai che da sempre è l’imminenza che ci minaccia
ora che sono i fili oltre le finestre a gesticolare per te
sfiniti sulle vesti che non arrestano il tuo ultimo salto

ma l’istante si aggrappa al lento movimento della mano

 

Francesco Lorusso (Bari, 1968), dopo aver ottenuto diverse menzioni e un premio nel 2003 con una sua lirica al concorso “Città di Bari”, pubblica una corposa silloge sulla rivista “incroci” di Bari, dal titolo “Nelle nove lune e altre poesie” (2005). Esce in volume per la Cierregrafica di Verona, nella collana Opera Prima, prefato da Flavio Ermini, con la raccolta “Decodifiche” (2007). Il suo ultimo lavoro è per l’editore La Vita Felice di Milano con una prefazione di Daniele M. Pegorari e una nota critica del poeta Vittorino Curci, dal titolo “L’Ufficio del Personale” (2014).