Alessio Alessandrini, da "Somiglia più all’urlo di un animale", Italic 2014, nota di Davide Campi

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Alessio Alessandrini costruisce i suoi versi svolgendo la narrazione di attimi di vita vissuta, scenografie minime sviscerate ossessivamente fino al minimo dettaglio, purché strettamente interiorizzate o interiorizzabili.

E non sono riferimenti alla metropoli ma sempre elementi di scenografie interiori gli accenni ai non-luoghi del nostro quotidiano: “Le autostrade agonizzano di gialli fari…” in cui oggetti della vita comune si coagulano in una rete solida cui ancorare il proprio disagio per documentarlo, smontarlo, spiegarlo, senza archiviarlo mai.

Nello stesso modo i paesaggi della consuetudine scivolano in una percezione volutamente incerta, franano nel racconto di paralleli moti dello spirito (“Lungomare disertato, deserto e desueto/solo tiepidi passaggi emozionali…”).

Nessuna pretesa di condivisione o generalità in questa poetica livida, permeata di piccoli e grandi dolori, espressa in forme regolari, dai ritmi lunghi e instabili, con frequenti intrusioni lessicali: “E poi, un incensurato rumore di orme/scalze, scadute sui parati, sul parquet…”.

L’universalità di questo sentire emerge come elemento strutturale di ogni riuscita lingua poetica.

 

 

Dalla sezione “Bianco”

 

Stanze d’albergo
a Remo Pagnanelli (in memoria)

L’indomani, certo, occorrerà
con deferenza e infame zelo
abbandonarla questa vacanza
di pochi metri quadri arredati
dove abbiamo gettato le ancore,
provvisorie, navigato, a volte,
perpetrato il duro inganno
di sconfiggere la sorte che
ci vuole solitari con i nostri
inciampi di pelle morta o sebo.

Dovremmo recuperare i resti umani
le tracce pelviche, il lenzuolo
affebbrato, gli asciugamani
perché nessun passo estraneo osi
sconsacrare quello che ci è stato
concesso mescolare.

Eppure resisterebbero le orme e
un battito soffice che sa di animale,
la consistenza impalpabile,
la consorteria della carne coniugata,
l’impercettibile bigiotteria del vivere
che ci conferma angeli ancora troppo
teneri: con mani e piedi e fiati piombati,
dalle ali impantanate tra il profumo
delle stelle e la moquette alluvionata
di polveri e capelli. Ma che resti
almeno il sudore o il suo alone
bianco: l’aver sfidato il cielo
in queste temporanee celle,
arnie da abitare appena e
dover maledettamente
rendere.

 

Dalla sezione “La panchina azzurra”

 

Molo sud

Noi così impudicamente scoperti,
osceni – offerti alla scena:
aperti, squarciati, indifesi
dietro tanta pigrizia:
due nuche ciondolanti
concesse alla bufera.
Inermi.
Il colpo sulla schiena.

 

***

Questa intramontabile fatica di distruggere ogni giorno:
vivere di scarti, liquami, decomposizioni minori,
per fecondare ventiquattro ore self service e via:
disossare porti, sfarinare templi, sciogliersi.

 

Alessio Alessandrini, Ascoli Piceno 1974, ha pubblicato “La vasca” (Lietocolle, 2008), vincitrice del XXII Premio Camaiore nella sezione Proposte Opera Prima. Sue poesie possono essere lette in raccolte antologiche o sul web.