Silvia Tripodi, una poesia inedita, nota critica di Marco Furia

Un’empatica analisi

 

I primi due versi della poesia di Silvia Tripodi

“Facendo della sua stessa forma

forma altra che uguale a sé sempre si conforma”

si riferiscono, in maniera palese, al concetto di “forma”, ponendo in essere un’articolata pronuncia in cui il lettore si trova quasi imprigionato.

Ma simile verbale prigione allarga subito le sue sbarre e permette di gettare lo sguardo su un ampio spazio poetico di cui, tuttavia

“l’occhio non distingue che una parte”.

Il dire della poetessa cattura la nostra attenzione e noi non possiamo fare a meno di sentirci circondati dalla sua intensa persistenza.

Ci accorgiamo, così, che la stringatezza del testo è in grado di assumere dimensioni immense, tali da comprendere la nostra intera esistenza: siamo lì, tra quelle parole, non possiamo prescindere da esse, eppure avvertiamo di essere a contatto con qualcosa d’infinitamente esteso.

Non si tratta, nel caso di Silvia, di un misterioso incantesimo, bensì di una genuina vena poetica perfettamente in grado d’inserire nei suoi grumi idiomatici l’intero universo lasciandolo intatto.

Non siamo ottenebrati né estasiati, piuttosto siamo indotti a mantenere ben alto il livello della vigilanza poiché i lineamenti linguistici proposti c’invitano a cercare risposte.

“l’analisi ora è cosa decisiva”

dice la poetessa indicando la via di una comprensione che non riguarda soltanto i suoi versi.

 

Se il destino dell’uomo è conoscere, ogni vera conoscenza – suggerisce l’autrice – non consiste nel mero uso di fredde grammatiche, bensì in quell’intelligenza del vivere fondata sull’illuminante coinvolgimento.

Da qui, l’importanza dell’ “alga appiattita”, della “lunghezza esatta”, dell’ “intenzione”, ossia di un essere che aspira assiduamente a un sempre più compiuto esserci.

Anche in virtù del lavoro dei poeti, senza dubbio. (m. f.)

 

 

***

Facendo della sua stessa forma

forma altra che uguale a sé sempre si conforma

uguale, diseguale, unica e doppia

l'occhio non distingue che una parte

di quello spazio non umano sempre fisso alle mani.

Da una prospettiva compiuta in uno scatto

l'analisi ora è cosa decisiva,

l'alga appiattita, lunghezza esatta dello stare

dell'intenzione al verso.

 

 

Silvia Tripodi (1974). Vive e lavora a Palermo. Laureata in Architettura, è educatrice presso un istituto statale. Si è occupata di fotografia e nel 2010 alcuni suoi lavori sono stati esposti a Roma in una mostra organizzata dai redattori della rivista Tutto Digitale. Ha partecipato alla sesta edizione RicercaBo 2013 (laboratorio di nuove scritture - San Lazzaro di Savena); alcuni suoi testi sono stati inseriti sul sito GAMMM tra il 2013 e il 2014; ha collaborato al "progetto Gianni Toti - Totilogia" su Floema; sue poesie sono state inserite nella rivista “l’immaginazione” (marzo-aprile 2014). Collabora ai blog eexxiitt e transcriptiones. Il suo blog è partage du sensible.