Carlo Invernizzi, da una raccolta inedita, nota critica di Giorgio Bonacini

Uno degli aspetti più straordinari di questa raccolta di poesie è la compattezza e totale coerenza di un uso della lingua che cerca non solo una significazione generativa di meraviglia, ma tenta la trasformazione di sé in ciò che dice. E lo dice con una parola che vuole essere vista per essere ascoltata, in una visione sonora che attraversa il lessico per vedere ciò che il linguaggio comunemente non dice e dire ciò che la percezione ordinaria non vede. Lucentizie è un poema della luce che percorre le ombre di una natura che sembra apparire in trasparenza e dileguarsi, per venire però raggiunta da una poesia sempre al limite, che si muove sul suo stesso bordo e contemporaneamente sul limite concettuale che pensa il mondo. Le figure che si incontrano – siano esse minerali, vegetali, animali; palpabili o impalpabili; evidenti o nascoste – sono figure d’aria sfuggenti, che “irrompono nei cunicoli/sfrecciano imprevedibili”e che si rendono fisicamente presenti solo nella tensione che le parole intrecciano tra loro. L’autore non descrive la luminosità o l’oscurità, ma lascia che scintillii fonici scrivano se stessi, che germi di buio crescano fisicamente tra gli interstizi delle lettere. E nessuna ingenua raffigurazione prende il sopravvento, ma sempre e solo un’adesione alle figure luminescenti che dissipano la loro presenza per riformarsi in angoli e scorci visti di sbieco, ma sentiti come ciò che sono: parolecose che solo la scrittura poetica (o almeno questa scrittura) può immaginare. Una tensione che, pur nascendo dal fondo di un’ immersione impossibile, emerge al margine reale di una natura vera. Le parole si intrecciano fra loro, e si fondono a dar vita alla significazione che si prova nel toccare fisicamente la materia, nel sentire l’energia costitutiva di ciò che è e in cui siamo. E ciò che esiste e vive può manifestarsi anche in semplici “prati d’altura/cianoscurilucenti/arsi/tra impicchi di muri/nudi/”a cui Invernizzi dà questa speciale voce che li concretizza.

Ma ecco allora quanti germi d’arte, vita e sostanza sprigiona la semplicità polimorfa che naturalmente ci circonda; e quanto la trasformazione interna e, diremmo anche intima, che il poema opera sulla struttura linguistica, condensando grafemi e fonemi, può portare a una deflagrazione della normale conoscenza mediata, in direzione di nuove, multiformi ma precise definizioni. Così questi testi sono la prova che lo stupore generato dalla formazione di parole non abusate, non guastate, non compromesse, ma che aderiscono (perché devono necessariamente farlo se vogliono parlare nuovamente) agli elementi che la natura ci offre, possono portare la visione ad altezze vertiginose dove ”s’infulgono ioniluce/verdeplendenti”; ma possono andare anche verso voragini abissali dove “tutto è riverbero di stenti”, “urgenti catastrofi/ in entropia del niente”. Due percezioni apparentemente opposte si presentano, allora, nitide ai nostri occhi di lettori: una trascendente, che pensa un mistero oscuro e lo sente dileguarsi indestinabile nel tempo; l’altra immanente che ode nel mattino cantare monotono ma prodigioso il cuculo. Ma è la poesia a farsi carico di non disgiungere le contrapposizioni: e lo fa oltrepassando in scrittura forse la sua stessa consapevolezza, lì dove intravede un’ alternativa alla lingua ordinaria che solo descrive la natura, mentre lei la scrive. Ecco allora dare visione al volo in luce di uccellilucentineri: dove è ambivalente il nero che prende la sua lucentezza dal brillio del sole (uccelli lucenti neri) e la luminescenza che il nero in sé produce (uccelli lucentìneri). Un esempio per dire come, questo poema, raggiunge il suo scopo di dire e dare vita. (g. b.)

 

Da Lucentizie

 

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Sui muri della mente
offuschi scuri
scivolano riverberi
oblique trasparenze
ombre vacue che vacillano
disperse parvenze.

 

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Lucentizie sempre apparenti
mai non recessive
come sempre gl’innevi d’inverno
sono altitanti e vallivi.
Lucentizie elitranti
eppure impercettibili
che pulsano nel ventale diafano
e dileguano invisibili.
Lucentizie di fulgidi albori
che di colle in colle rifrangono
e nella chiarità vibrando
lucciolano.

 

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Addentro
sempre invano più addentro
senza fine il disintegro
del vuotoinfolto del niente.
Dove senza vita
s’incede
il misterio della vita
e senza luce
s’ingermina nell’oscurità
il canto
del ventoluce.

 

Carlo Invernizzi è nato nel 1932, vive e lavora a Milano e Morterone.

Il suo ultimo volume pubblicato è Secretizie, Mimesis 2009.