Sofia Demetrula Rosati, una poesia inedita, nota critica di Marco Furia

L’arte della sapienza

 

‘La solitudine della Sapienza’, di Sofia Demetrula Rosati, è un’articolata riflessione in versi concernente il tema dell’umano conoscere.

Introdotto da un esplicito “prologo”, il componimento si apre con una pronuncia emblematica:

 

tra le mani compassi

le geometrie euclidee non compiacciono

il cuore si esercita sul ritmo e non

procede ma persiste

 

subito seguita da un’altra non meno esplicativa

 

la saggezza ha la stessa consistenza del tempo

anticipa costantemente il suo ritardo

 

Che cosa dire?

 

Certamente l’umana esistenza è esposta all’incertezza e all’enigma, nondimeno migliorare è possibile: davvero rilevante, perciò, è l’umana attitudine a interrogarsi.

Quanto, poi, alla poesia (praticata dalla nostra autrice con non comune scrupolo), si tratta di un dire particolarmente propenso a ridimensionare i riduttivi schemi logici per evocare un quid nel cui ambito gli uomini sono immersi più di quanto potrebbe, a prima vista, sembrare.

Insomma, per Sofia Demetrula, scrivere versi è la risposta, perché per lei il gesto espressivo veramente originale è fecondo proprio per il suo ricondurre il segno idiomatico all’esordio dell’incontaminato impulso.

 

Senza dubbio

 

la fioca luce del sole non intende

dare senso a ciò che illumina

 

nondimeno il poterlo scrivere è vivida testimonianza riguardante il mondo e chi lo abita.

 

Non resta altro da fare che impegnarsi nell’opera d’arte alla quale tutti si possono dedicare, ossia quella, appunto, di abitare meglio il mondo?

Questo sembra lo scopo ultimo di ogni conoscenza e, in maniera implicita, l’invito rivolto, dopotutto, dalla nostra poetessa. (m.f.)

 

 

la solitudine della Sapienza

dialogo con Qohélet - di Sofia Demetrula Rosati

 

 

prologo

s’interroga il sapiente Qohélet, l’uomo più scomodo dell’antico testamento. colui che non mette in dubbio il suo Dio, non chiede nulla e nulla si aspetta. non è il Giobbe che ci sollecita ancora oggi insinuando il pensiero di un Dio che, a fronte di una totale devozione, non sa elargire in base a criteri di giustizia. no, il Dio di Qohélet sembra, egli stesso, solo di fronte alla Sapienza. sembra totalmente disorientato da essa. non sapere come dialogare con Lei. non esiste Sapienza tanto grande da non poter essere offuscata da un unico solo errore. e allora a che serve inseguirla, desiderarla, possederla. se poi, Lei, non si fa possedere.

e allo stesso modo s’interroga il Poeta. l’essere per il quale il dubbio è l’unica certezza. s’interroga su quella stessa Sapienza che tra le sue mani si fa strumento consapevole d’inafferrabilità.

dialoga il Poeta con Qohélet e si fa sincronia di voci. lacerando con quesiti che conducono all’impossibilità di risposta. e se anche la Sapienza fosse, in ultima istanza, asapiente? se la Sofia non fosse altro che un’egocentrica manifestazione di sé? se l’atto stesso del conoscere fosse un passaggio diretto perché la terra torni ad essere polvere. e tutto solo fumo di fumi? e se solo la parola scritta riuscisse a farci aggrappare a qualcosa che somigli a delle sagome in carboncino? se la parola scritta fosse l’unica Sapienza? non per il contenuto, ma per il tratteggiare. se fosse proprio questo movimento, il movimento dello scrivente a dare ordine a ciò che non ha mai chiesto di essere compreso? e se la poesia fosse l’ordine ultimo al quale poter accedere? l’unico senso. la conoscenza di ciò che non può avere senso?

dialogo

1

 

Qohélet

 

Un cuore saggio procede diritto

Un cuore storto divaga

 

 

Io

tra le mie mani compassi

le geometrie euclidee non compiacciono

il cuore si esercita sul ritmo e non

procede ma persiste

 

la saggezza ha la stessa consistenza del tempo

anticipa costantemente il suo ritardo

 

storto è all’opposto per diritto

 

 

2

 

 

Qohélet

 

E il sole che si leva

È un sole tramontato

 

Ogni sarà già fu

E il si farà fu fatto

Non si dà sotto il sole

La novità

 

 

Io

ogni ripetizione sorprende l’istante nuovo che

la precede e quello che la insegue per ispirazione

la novità è in tempo relativo

 

non vedo nulla che non sia già stato

l’eternità inaridisce i terreni e li rende incolti

 

 

3

 

 

Qohélet

 

Che cosa è che fu

Se quel che fu è

E se Dio fa che torni

Il fuggito?

 

 

Io

se il fuggito torna

determina un percorso

l’inizio e la fine si avvicendano nella costruzione

dello spazio e del tempo il fuggito

percorrendo coniuga il verbo che si fa carne

 

quel che fu fu

quel che è è

 

 

4

 

 

Qohélet

 

E l’altezza mette paura

Ti agguantano spaventi per la via

E il mandorlo biancheggia

La cavalletta s’intorpidisce

Il cappero pende inerte

E l’uomo se ne va

Alla sua casa indefinita

Tra i piagnistei rituali

Delle donne nel Suk

 

 

Io

spaventare l’altezza per il

trionfo del nulla

anche se sono a terra

calpesto sudari sgualciti

la stagione è incerta

tra un finire d’inverno

e un’estate che avvizzisce

l’uomo se ne va

di lui solo un tratto in carboncino

le donne fanno festa nel Suk

 

 

5

 

 

Qohélet

 

Per qualche mosca

Si guasta un vaso d’unguento

Di profumiere

 

Poca stoltezza offusca

La gloria di un sapiente

 

 

Io

In un campo di stolti

poca sapienza dà gloria eterna

il giudizio condensa l’odore del giudicato

in piccole ampolle vendute a poco prezzo

al mercato delle spezie

 

 

6

 

 

Qohélet

 

Sapienza è meglio che ordigni da guerra

Ma quanto bene si perde

Per un unico errore

 

 

Io

Che fece il gran rifiuto!

ebbe a dire il poeta schivato

 

 

7

 

 

Qohélet

 

E vedo tutto il lavoro di Dio

ma a tutto quel che accade sotto il sole

un senso l’uomo non riesce a dare

gli uomini si affannano a cercare

senza poter trovare

e il sapiente che dice io so

resta senza trovare

 

 

Io

la fioca luce del sole non intende

dare senso a ciò che illumina

gli uomini cercano con le spalle curve

e la testa china tra la polvere

 

con poca saggezza qualcuno

raccoglie ciottoli lungo il cammino e

con passo pesante il viandante

spaventa le lucertole stese al sole

 

 

8

 

 

Qohélet

 

Due coricati insieme

si scalderanno

 

Ma a chi è solo

quale calore?

 

 

Io

la solitudine non consuma le ossa solo calore

un falò di libri ho dovuto organizzare

per la lunga attesa del gelo

ho sperimentato giacigli di parole

 

coricàti sul letto le nostre scapole non

hanno bocche per dialogare

voltàti ognuno dal proprio lato

con una pietra focaia in mano

senza sapere cosa farne

 

La traduzione del testo di Qohélet qui utilizzata è tratta da: Guido Ceronetti “Qohélet. Colui che prende la parola”, Adelphi edizioni, Milano, 2001.

Nota biografica