Simone Zafferani, da una raccolta inedita, nota critica di Giorgio Bonacini

L’esperienza che si fa in poesia – dove sempre chi scrive e chi legge è chiamato a sentire e provare il senso – è un’ interconnesione di segni tesa a imprimere, in modi mai preordinati, il suo tracciato. Può essere un torrente impetuoso, un sentiero in lieve ondulazione, una scarica a nervi scoperti o una serie modulare di pensamenti, ma in ogni caso prende la lingua e la porta in un luogo difforme dove “si ricomincia il mondo da un dettaglio”. Così, Simone Zafferani, in questa raccolta dispone la scrittura con un andamento che, partendo da un fondo d’ombra sale in superficie portando con sé la luminosità che anche dal buio sprigiona. E lo fa lentamente, grazie un pensiero poetico che arriva con onde basse ma crescenti. Questi versi sembrano immersi in una dimensione quasi di pacificazione, tra la parola che prova a scardinare il senso ordinario di una realtà che appare ma non è, e le cose che si attaccano alla mente con la loro voce impensata, non di questo mondo. Ma è solo un’illusoria pacificazione, perché rinominare ogni volta l’esistente iniziando da particolari che sganciano la comunicazione per incontrare una nuova significazione, vuol dire riconoscerli solo nel momento in cui combaciano con il dire essenziale del poeta (me con me, in modo osceno, precisa l’autore). E la parola attraversa la sua stessa intimità, anche brutalmente, per “tenersi saldamente all’infinito”, con uno sforzo concettuale e ideale che prova e riesce ad accedere a una percezione che ridefinisce il fulcro di ciò che ci fa stare agganciati a un inizio e una fine, rendendo impossibile la linearità del camminamento, solamente con “quattro parole di puntello”. Ma è proprio la fermezza di questo legame che consente di dire e udire i riverberi, gli echi, i richiami dell’ultima indefinita parola che ridisegna la prima, in perpetuo movimento “su una rotta diversa”.

Sembra poco e sembra semplice il sostegno di quattro parole, ma qui non si “puntellano rovine”: il mondo di queste poesie è forse fragile e sciupato, ma imprevisto perché ombroso e luminoso insieme, frutto di una voce dimenticata e riscoperta, con un suono nuovo e qualche volta commovente. In poesia anche una sola sillaba che abbia valore sostanziale è inizio di un mondo che restituisce la sua universa intonazione alle cose; e la loro presenza reale a chi le ascolta; e uno sguardo penetrante a chi si lascia avvolgere dai segni che si incontrano nell’esistenza poetica visibile o invisibile.

Zafferani, in questi testi, ha un gesto d’attenzione particolarmente lieve ma deciso nel riconoscere che la verità non è tanto la certezza di aver compreso e saputo, ma paradossalmente di dimenticare. Non per oscurare o alienare il nostro essere, ma perché “l’avventura è...imparare a non sapere”, per rinascere e per poter toccare, con sensibilità inaudita, una nuova figurazione fisica e mentale. Ci sono poesie, in queste pagine, particolarmente dense di senso e nello stesso tempo leggere, ariose, duttili nel dire l’impatto che la scrittura ha quando diventa vocalità ferma ma dal tono fluttuante, di tenerezza pura e precisa che è sentimento di forma e consapevolezza. E in questo luogo niente viene abbandonato: anche una “poesia nata male”, anche la considerazione solitaria del silenzio racchiudono in sé accadimenti come doni speciali, in una originaria e trasparente identità che solo la poesia può comprendere e portare dentro. E anche quando la riflessione prende la via della visione pensante che cattura un’azione, l’oggetto visto può scomparire in quanto tale ma rimanere in noi, scambievolmente lettera e metafora, dove la parola dell’autore, anche nell’ astrazione, si muove sempre “senza/alcuna contraffazione”. (g. b.)

 

Da “L’imprevisto mondo”

 

tenersi saldamente all’infinito

a quattro parole di puntello

e al centro un covo di grazia

e più al centro un magnete di gioia

- durissima, inscalfibile –

che regola il moto e le distanze

quando l’anima aerea s’intrattiene

coi lutti occasionali del suo andare.

 

 

dalla sezione Angelo della vicinanza

 

***

resta esposto e toccato,

piantato nelle radici

con i loro giusti saliscendi.

 

Guarda

come siano amiche le vicissitudini

venute a cercarti.

 

Non suturare

troppo le ferite, impasta acqua

ossigeno e sale come tu senti,

non come ti dicono.

 

Non regolare troppo

l’arbitrio e i fili che lo tengono.

 

Ascolta

la pulsazione più bassa e danzale sopra

con ritmo non suo e non tuo ma

naturalmente prossimo, come tu fossi

un angelo della vicinanza.

 

***

ogni giorno un dettato, una preghiera,

sillabe messe a mente, successione senza scarto,

nessuna violazione e nessun urto,

un solo senso unico.

Teoria

e benedizione, voce senza

alcuna contraffazione.

 

***

con pazienza d’artigiano

mettere a posto il dolore.

Sommessa, tenace

opera della sistemazione.

Tenersi accanto tutto

e guarire per contagio

e crescere per emanazione.

 

Simone Zafferani è nato a Terni nel 1972, vive a Roma. Ha pubblicato i libri di poesia Questo transito d’anni (Casta Diva, 2004), vincitore al premio Lorenzo Montano 2006) e Da un mare incontenibile interno (Ladolfi Editore, 2011), finalista ai premi Sulle orme di Ada Negri 2012 e Laurentum 2012). Sue poesie sono uscite in riviste (“Smerilliana”, “Poeti e Poesia”, “Atelier”, “L’Ulisse”), in plaquette e in antologie.