Greta Rosso, da una raccolta inedita, nota critica di Giorgio Bonacini

Il fare poetico, nel suo difforme andamento (ricco sempre di implicazioni altamente evocative e dirompenti), fa sì che il tempo e il luogo vissuti, immaginati, ricordati, e in ogni caso scritti (anche solo nel silenzio del proprio pensiero), nel lavorio interiore che il dire porta in superficie per dare nome e sostanza ai sensi delle scrivere – e sottrarre a questi le omologazioni e le conformità della lingua ordinaria – conducano spazio e durata a mischiarsi, a confondersi, a scambiarsi le funzioni percettive e concettuali. E questo produce uno spaesamento nella significazione che ribalta il prima e il dopo: dilatando o concentrando movimento e stasi, dentro e fuori, ombra e luce. Ed è propriamente ciò che si prova leggendo IL DISGELO di Greta Rosso.

Emerge nei suoi versi l’inquietudine di una consapevolezza che ridisegna le normali categorie conoscitive svuotandole del loro sentire soggettivo. Ma con un atto di privazione apparentemente assurdo: la sottrazione “di un sentire che non potevo/ avere, ma c’era...” Ecco lo spostamento nella dislocazione di un sapere: il venire meno di un senso d’esserci che ha il suo nucleo in un sentimento brulicante di vita, ma impossibile. Come un ricordo o una visione che non dovrebbero appartenerci eppure ci sono e continuamente ci vengono negati. Solo un atto poetico di lucidità e sregolamento estremi, o forse anche solo istintivamente destrutturato in fluidità e lampeggiamenti, può rendere consistente un’esistenza sgretolata, una parola intrattenibile, una voce come questa, che “lascia una scia di polvere”. Frammenti che non velano ma rivelano agli occhi qualcosa di irripetibile, perchè continuamente oscillante fra allucinazione sensoriale e acutezza concreta, luminosa. Una coesistenza dove l’immagine allitterante, in termini auto inglobanti come “lascia” “scia”, non emerge semplicemente come dato tecnico, ma (conscio o inconscio che sia) come vero e reale motivo ricombinante, dove il vedere si ritrae e lascia spazio all’attrito.

Ma verità e realtà in questi testi perdono il sentore oggettivo che li caratterizza nell’ordinarietà del linguaggio, per trasfigurarsi in ciò che fa poesia: nel caso specifico, un pensiero accidentato, graffiato, ma anche aperto a riconsiderare le trasformazioni, per cui la scrittura è necessariamente obbligata a rischiare, se non vuole decadere a insignificanza. Nei testi di Greta Rosso c’è tanto fremito e tanto disperdimento: una dissipazione emotiva, però, non ingenua né artefatta, ma coerente con la natura e la frattura che un vivere teso a “sprofondare nell’assenza”comporta. E’ un movimento a margine, un camminamento al limite di un bordo dove la presenza poeticamente umana si raccoglie e si stringe in una spazio in cui la parola di sé appare irriconoscibile, fantasmatica, lacerata in un rovesciamento dove ciò che è non sembra. Perché non ci sono agganci solidi in questi poesie, nulla che determini banali sicurezze. L’autrice intuisce il sapere fondante di ciò che scrive: perforare il senso e con “la gola dolorante...incastrare le parole...”, polverizzare le dimensioni certe per intrecciare e reindirizzare (anche zigzagando o raggomitolando) un pre-sentito sofferto, nel tempo sbagliato un “il disgelo mio/mal profetizzato.”

Una poesia, questa, che svolge la sua qualità corporea in modo tale da far pensare a parole uscite come trasudate, lente, curvate da un’attrazione fisica nevralgica che piega costantemente l’articolazione semantica della frase, nel suo spazio di sommovimenti ma anche di velature lievi, di sussurri e scioglimenti. (g. b.)

 

 

Da “Il disgelo”

 

***

era qualcosa di più forte del fango secco sotto le nostre suole, era

un’intubazione che lasciava la gola dolorante

così da incastrare le parole là in basso, da qualche parte.

non ci saremmo arrischiati in ulteriori prove di forza.

bastava il fatto di essere lì, uno di fronte all’altro,

i volti scomposti e umidi.

 

***

espone la perdita fratturata, scomposta, scolpita

ne estrae le parti eguali, la rende pulita e netta.

controlla i frammenti, li conta, li elimina.

resta infine il ricordo asettico di ciò che fu.

un quadro irripetibile che non entra negli occhi.

 

***

il tuo corpo di pietre nell’erba tremenda delle periferie

lascialo alla foschia, alle tettoie d’amianto e alle cantine disperate.

prenderà commiato come un solo commento sul tempo.

come un mattone, una stella, un tragitto dimenticato.

 

***

era usanza turbare, sollevare veli

senza essere eccessivi, censurando

pesantemente, moltiplicare le parole

come popolazioni socialmente

avanzate, rovesciare i bicchieri

dopo aver bevuto, trovare un

agio nel gelo assoluto del

pavimento.

 

Greta Rosso è nata a Casale Monferrato il 16 luglio 1982 e risiede in Valtellina (Bormio -SO-). Ha pubblicato in volume “Cronache precarie” (Aìsara, 2009) e “In assenza di cifrari” (Lietocolle, 2012), nonché diverse poesie su siti web quali Nazione Indiana, AbsolutePoetry, Viadellebelledonne, Imperfetta Ellisse, e sulla rivista cartacea Il Foglio Clandestino. Nel 2013 si è classificata terza ex aequo al Premio Baghetta (premio del pubblico) e prima al Premio Isabella Morra (sezione poesia edita).