n. 91, L'altrove dell'erranza

Lontano dal cammino degli uomini.

Parmenide

Decidere per l’esistenza autentica implica riconoscere che a fondamento della vita umana sta la consapevolezza di essere al mondo.

Accorgersi di vivere, infatti, è già un inoltrarsi nell’esperienza originaria dell’e- sistenza; è una radicale obiezione all’oblio e un assentire all’essere. Testimoniare con la scrittura il senso di questa esperienza è un compito al quale non possiamo sottrarci.

Scrivere diventa in tal modo una comprensione dell’essere.

L’esistenza appare come una dolente via crucis segnata dal divenire e imposta dal- la natura. Sul nostro cammino non incontriamo che apparenze. Sono apparenze che faranno del nostro cammino una via di sofferenza.

Nel dolore si apprende che acconsentire al divenire rappresenta il solo modo di conoscere noi stessi, al fine di ri-conoscerci in quanto mortali che si interrogano sull’uno e sul puro evento del molteplice che dall’uno scaturisce. Ecco la sostanza di quel mondo aurorale che ogni volta nasce a nuovo dall’incontro tra l’essere umano e le apparenze che lo assediano.

Quella sostanza ha una voce. Parla e si rivolge a noi in quanto immersi nel mon- do e ci convoca per ciò che autenticamente siamo e non possiamo non essere. Il richiamo che questa voce fa risuonare – volgendosi all’essere autentico dell’esserci

– è il richiamo alla struttura fondamentale dell’esistenza: essere nel mondo e del mondo: averne cura.

Solamente con la cura delle cose e degli altri il mortale umano progetta in avanti le sue possibilità. Nella cura dell’apparire sta il frutto della ricerca volta all’essere. La cura è l’atto di una ricerca mai conclusa della nostra orientazione nel mondo.

Quella sostanza narra un’esperienza vissuta innumerevoli volte: un processo dell’essere nella sua apertura al divenire. Il decorso dell’esistenza si fonda sull’e- venienza che qualcosa proveniente dalla zona a noi sottratta del mondo accada. Noi siamo chiamati a far sì che proprio questo qualcosa accada, per poi custodirlo in una forma nuova.

In tale processo viene alla luce lo sforzo radicale di elaborare una comprensione dell’esistenza in modo fedele al suo fluire, senza tradirne o occultarne i caratteri specifici. Non solo. Viene alla luce un’esperienza poetica particolare, ogni volta irripetibile, della relazione fra essere umano e mondo, fra soggetto e fondamento. In questa prospettiva si comprende che la poesia non è tanto un “genere” o una

“categoria letteraria” come altre, bensì una forma di vita che mette in relazione l’esistente con l’essere.

Il mondo non è compiuto una volta per tutte nella sua essenza: l’essere umano è chiamato in ogni momento a completarlo.

Vivendo, noi ci mettiamo sulle tracce dell’enigma della nostra esistenza. Siamo gettati nel divenire e tutto sembra dirci che siamo per la morte, ovvero che ogni nostro passo è rivolto verso la morte. Ce lo dice soprattutto quel fare e disfare incessantemente la tela perché non si sa se l’eroe tornerà. Ce lo dicono quei corpi che non smettono di diventare vecchi.

Le cose sorgono e declinano. Come non riconoscere l’infelicità che nasce e muore in cose sempre diverse, incessantemente e ovunque?

Fare i conti con la verità del dolore significa prendere atto di quanto la caducità non smette mai di disvelare: l’orrore e la crudeltà che ci insidiano, la sofferenza che ci assilla.

La coscienza di vivere è dolorosa. Chiama all’appello le insistenti e indelebili ero- sioni degli anni. Eppure questa consapevolezza è la condizione irrinunciabile per potersi accostare alla verità. Bisogna acconsentire al patimento, esserne coscienti, al fine di perfezionare la conoscenza del bene congiunto di bellezza e verità.

Di fronte a una realtà incomprensibile, può sembrare ragionevole chinare il capo e rassegnarsi. E invece lo scopo del nostro esserci è cercare una risposta alla pre- carietà dell’esistere; è la ricerca insopprimibile di un senso che giustifichi il nostro volgerci all’origine; è il porre anche le domande che vanno al di là dell’umana ragione, ma senza affidarsi al mito, alla religione, alla tecnologia, bensì a un in- sistente domandare. Pur nella consapevolezza delle sofferenze e delle lacerazioni che il domandare comporta.

Optare per l’essere significa mettere in crisi il concetto consueto di realtà, intesa come frutto di un sentimentalismo astratto o di un’estrema categorizzazione.

Porsi sulle tracce dell’essere significa abbracciare una ricerca poetica in grado di rimettere in moto la conoscenza completa del reale, nel suo intrecciare indisso- lubilmente e proficuamente piani esistenziali che di solito ci si arrischia solo di accostare: l’essere e l’ingannevole apparire.

Si viene così a delineare il presentimento di un dire in senso proprio: una sorta di altrove dell’errare, «lontano dal cammino degli uomini», come precisa Parme- nide.

Flavio Ermini