Una lettera del filosofo Renzo Lucca a Tiziano Salari su “Gioventù”

Grazie infinite per avermi inviato “Gioventù”.
È stupefacente pensare come poche righe possano suscitare nell’anima del
lettore emozioni così grandi. Fra le tante sollecitazioni, quella che più di
ogni altra mi colpisce leggendo le tue pagine, è la capacità del protagonista
di sospendere gli stimoli esterni, di spogliarsi di tutto ciò che è superfluo
(aphele panta) o di impedimento per accedere al mondo noetico, al mondo
intellegibile. Associazioni spontanee della mente mi risvegliano le poderose e
luminose solitudini di Eraclito e di Nietzsche, la tormentata irrequietudine e
l’accesa tendenza immaginifica di Giordano Bruno, la serena saggezza di Seneca
e di Spinoza, ecc.
Trovare in una piccola biblioteca la “cittadella interiore”, come luogo intimo
di raccoglimento, di concentrazione, di profonda elaborazione dei propri
phantasmata, rappresenta per me un chiaro messaggio che invita a vedere nella
cultura, nella costruzione logico–intellettuale, uno dei momenti più alti e
fecondi per realizzare la propria essenza di essere umani in quanto animal
rationale, zoon logon. Solitudine non come fuga dal mondo, ma come la più
grande strategia per aumentare la propria potenza di agire, per penetrare in
profondità, con l’intelletto, la realtà che appare ai nostri sensi solo come
superficie.
Inoltre, un'altro aspetto che trovo straordinario, e che mi fa pensare a un
capolavoro, è che nella ritrovata serenità gioiosa del protagonista si respira
fin dentro la pelle e nelle ossa, il senso tragico dell’esistenza.
È uno scritto che rileggerò periodicamente per ritrovare il senso profondo del
mio fare intorno al fascino e la bellezza della pratica filosofica.

Renzo Lucca