Sulla Visual poetry

Antropologiche immagini, sulla “visual poetry”

Si può pensare in maniera corretta, credo, all’ espressione idiomatica quale a vero e proprio campo di energia: energia biologica, strettamente legata alla vita, anzi maniera di vita stessa.
Poiché non esiste alcun “a priori”, possiamo con altrettanta correttezza ritenere che qualunque forma espressiva, qualunque tratto o gesto dotato di “direzione”, sia da considerarsi linguaggio.
Di fronte alla visual poetry, ossia ad una manifestazione definita “poesia”, suscita meraviglia l’ assenza (o la scarsa presenza) di connessioni con la materia e la regola linguistica in quotidiano uso: risulta indubbio, tuttavia, che le opere di cui si parla sono in grado di catturare e affascinare, con immediatezza, lo sguardo.
Ritengo proprio in tale immediatezza consista il carattere essenziale della proposta poetica “visual”: si tratta dell’ offerta di vividi impulsi espressivi, linguistici, privi di affliggenti cadenze.
Senza nulla voler togliere, quanto a importanza, all’ utilità del linguaggio ordinario, appare evidente come la proliferazione di usi vieti, bolsi, provochi sensazioni di fastidiosa inadeguatezza e come utilizzi smodati e impropri sviliscano lo strumento del quale si servono.
Un strumento in sé prezioso: vita e lingua, a condizione di non rivolgersi a opzioni di tipo metafisico, costituiscono tutto quanto l’ uomo ha a disposizione.
Bene, credo che la visual poetry si opponga, incisiva, a tale disagio offrendo forme comunicative capaci di mostrare, meglio di altre, le proprie origini.
A nessuno, sia chiaro, nemmeno al poeta, è consentito dire l’ indicibile (l’ energia vitale da cui l’ idioma scaturisce è destinata a rimanere, comunque, ineffabile) e anche quello del visual poet, perciò, resta pur sempre un linguaggio.
Ma lo è in maniera del tutto peculiare, essendo proposto con intendimenti specifici, originali: consapevole di come i fondamenti di ogni idioma abbiano natura (non logica, ma) biologica, la visual poetry, abbandonando comuni regole o, meglio, creandosene di proprie, mostra uno stato di cose, una condizione tipica della maniera d’ essere umana.
Anche quanto può apparire remoto, forse perduto, risulta, in realtà, disponibile: si tratta di saper agire sulle modalità.
L’ origine non è qualcosa che riguarda più o meno mitici albori, bensì qualcosa di vivo, di presente, tanto che, adoperando un mezzo espressivo, vengono attivati processi e meccanismi che possono giungere a esiti disparati.
Le cose sono come sono, ma anche come potrebbero essere: questo è il messaggio.
Un messaggio, un invito a un pensiero non scontato, a una presa d’ atto della esistenza di molteplici possibilità.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, in cosa consista la differenza tra visual poetry e arte astratta: chi scrive crede nell’ utilità di abbattere, piuttosto che di erigere, steccati, ma una differenziazione, in senso descrittivo, ritiene di scorgerla.
La visual poetry consiste in un gesto di scrittura, l’ arte astratta di pittura o scultura: la prima tende a creare “immagini”, la seconda dipinti e oggetti plastici.
C’è qualcosa d’ intimamente “schematico” nella visual poetry richiamante, appunto, l’ uso di stilemi, mentre nell’ arte astratta l’ attenzione al colore, ai corposi materiali adoperati, conferisce caratteri differenti, tipici di quanto viene definito “arte”.
Se di “scrittura” si tratta, allora di poesia risulta lecito parlare e se le espressioni umane, tutte, sono costituite da segni indissolubilmente legati a impulsi, la visual poetry, senza dubbio, aiuta a meglio comprendere la natura antropologica del linguaggio.

Marco Furia