Alessandra Paganardi, La pazienza dell’inverno, Puntoacapo 2013

(...) Alessandra Paganardi ha naturale familiarità con il dolore della mente, con la malinconia dell’esistenza, con le virgiliane lacrimae rerum che si addensano su ogni destino, ma sente la sua poesia come arma complessa e potente di salvezza: complessa, perché riverberando il dolore nelle parole c’è la possibilità di accentuarlo, ma potente, perché trattando l’angoscia dentro la scrittura, dentro la materia di parole vive che ricordano e reinventano, la si può anche esorcizzare. Da sempre, parafrando Char, il poeta non può che fare arte di fronte alla morte.
Dalla prefazione di Marco Ercolani

 

Dalla sezione “Farsi altro”


La cava

È duro il salto – come questo marmo.

Bisogna flettere il calcagno freddo
alla salita, rendere le suole
alla polvere che si fa più scura
nel passo. Appiattire il respiro
alla pietra. Poi l’ultima stanza –
quell’orecchio di Dionisio svuotato
nel venerdì di Pasqua, dadi immensi
allineati come case a schiera.

Non sarà mai acqua
il fiume – è un rumore la voce
impigliata tra fango e sassi.

Ci siamo messi in fila anche noi –
rocce cave per il tempo che attende
di tagliare i ricordi, di spostarli
via dalla mente in blocco, uno su uno.

E tutto ricomincia a farsi altro.

 

Dalla sezione “Museo e parola”

 

I

C’è un horror vacui fin nelle pareti –
non amano l’assenza, non si deve mai
aspettare. Prima un po’ di brutta carta
da parati, quindi l’invasione
barbarica dei quadri.

Questi fiori sembrano tutti veri
- i seni all’erta, ripartiti in due
dal sentiero del cuore. Che la vita
mimi la vita, dove non sa andare
dritta e bella. I vasi alle finestre
paiono finti, covano l’abbraccio
osceno di una bambola di gomma
dicono un’intenzione di cemento
di stare sempre qui, di non morire.

 

Dalla sezione “Voci in ombra”

 

VII

Di quella pietra nel cemento
non è rimasta che un’impronta vuota.

La terra ha una memoria minerale
si riempie quando passa forte il vento
o il piede indelicato del passante
a scalciare la vita

allora il vuoto sente ancora il grave
un diapason che mai nessuno vede –
la cartina si tinge dietro gli occhi
se ritorna il dolore.

 

Alessandra Paganardi (Milano, 1963) ha pubblicato, oltre a varie plaquettes, le raccolte di poesie Tempo reale (Novi Ligure 2008), Ospite che verrai (2005), Poesie (Facchin Editore 2002).
Ha pubblicato la raccolta di saggi critici Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, Viennepierre edizioni 2005, finalista al Premio Nabokov 2008.
Dal 2003 è redattrice della rivista “La Mosca di Milano”.