Anche per il 2025 prevediamo almeno 10 novità nelle nostre quattro collane, di cui due opere in Itinera, anche per festeggiare i 50 anni di Anterem, fondata nel 1976, e otto provenienti dal premio Montano.
Campagna Abbonamenti 2025Anche per il 2025 prevediamo almeno 10 novità nelle nostre quattro collane, di cui due opere in Itinera, anche per festeggiare i 50 anni di Anterem, fondata nel 1976, e otto provenienti dal premio Montano. Premio Lorenzo MontanoRicercaCarte nel VentoSostieni la poesia
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Convegno su Montano![]() Sono stati pubblicati da QuiEdit gli Atti della giornata di studio dedicata dalla Biblioteca Civica di Verona e da Anterem a “Lorenzo Montano e il Novecento Europeo. Gli interventi qui riuniti sono di Giorgio Barberi Squarotti, Flavio Ermini, Gio Ferri, Claudio Gallo, Maria Pia Pagani, Tiziano Salari. Curatore degli Atti è Agostino Contò, a cui si deve l’introduzione al volume. Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano
Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano viene edito per la prima volta da Mondadori (1923). Successivamente l’opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R. (1959), con un saggio di Aldo Camerino (1901-66). Tale saggio viene riproposto in questa terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una riflessione interpretativa di Flavio Ermini. La poesia del pensiero
Intervista con Flavio Ermini a cura di Antonio Ria Flavio Ermini è stato intervistato da Antonio Ria il 15 gennaio 2013 negli studi di Milano della RSI / Radiotelevisione svizzera – Rete 2. Nuclei centrali dell’intervista sono stati: il suo ultimo libro Il secondo bene (Moretti&Vitali, 2012) e la poetica della rivista “Anterem”. Contenuti più vistiChi è on-lineCi sono attualmente 0 utenti e 2 visitatori collegati.
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Daniele Bellomi, inediti da “Ripartizione della volta”, con una nota critica di Giorgio Bonaciniripartizione della volta(opera prima)
nistagmi: tre movimenti involontari degli occhi
*
si vede la media di un cielo sereno, il sole
al meridiano e alle lune la fiamma
di candele a paraffina
il filamento di tungsteno penzolante
dalle ampolle a gas: ho avuto
con un solo movimento
il posto dell'arciere
ho vomitato anche da morto il fotogramma,
nell'arco
degli elettrodi ho segnato il cratere positivo,
eppure
è rotta la sensazione luminosa, il flusso
che ha detto
di non rimanere ora salta
perché non sbaglia nessuno a trascinarmi via,
a non usarmi per guardare non si unge
un re di questi tempi senza sporco sulle mani;
non ho visto non ho sentito non parlo
non reato allora ma segni e convoluzione, trattamento
delle immagini più o meno di favore o instabile
non so niente di questi soldi non miei
che porto in mano, non più nemmeno
l'arco che scarica lo xeno a terra l'odore
che c'è di radiazione: non si passa il vaglio
con il vaglio, la vista come curva in un fuoco, il fuoco
è il medesimo
**
l'immagine che si gradina, si sgrana,
rimuove la sfocatura
non vi serve a costruire: osservate
direttamente
dai vostri occhi il movimento accidentale, il rumore
casuale,
occidentale delle fibre, il reticolo colpevole,
occhi e carne, il montaggio finale
che squassa via i semi e il cristallino:
le persone sono sconosciute, quelle di anni fa;
guardale ballare
serenamente, rivedile come sono ora,
prova a riconoscerle
per la pellicola che salta e ritrasmette
in successione, si scansa sulla pista, prova
a riconoscersi come noi il tramite è il divano, la fissazione
in uno schermo;
a cose passate, a cose che non sappiamo quando
ritornare: ripetile ancora se non puoi
***
non lascerò
che mi si tocchino le cornee, a meno che
tu non me lo dica, ponendomi dei pesi;
per l'entità
di questa depressione che attende
il bulbo, lo varco sui millimetri elastici
della deformazione; di forza in forza
meccanica
si tratta sempre di un ricarico dei circoli,
di uno sgravio
dei getti d'aria che lasciano le cicatrici,
i segni screpolati
delle tue mani quando guidi,
ad esempio,
l'essere magari
una tecnica ancor più sicura
per vederti sola; se una lente permette
la superficie, la vibrazione riflessa
in un segnale, non voglio che ti stia a contatto,
perchè aspetto un certo
acconto delle pareti, ma non più
di questo stimolo
irriflesso
****
non è uno solo il battito o il rumore
più sordo dei canali
avvitati, dei ritorni
innalzati alle aperture,
e le chiavi girano
nel montare insieme le parole
(fra poco, adesso, dopo, perso, fra di noi)
da distimie: quattro variazioni disarmoniche sul tono dell'umore
*
caffè in grani, secco:
crudo a somiglianza
di qualche malattia visibile; le vetture (i cambi,
simili a scheletri
fibrosi) prendono alla gola:
nuove fasce di prezzo, di occlusione, nuove
tensioni tangenziali per uscire
e così moduli elastici, capelli,
sottintesi della lotta;
con questa quiete che si nuclea, le immagini
chiuse nelle urne,
artefici come in ogni caso
di una germinazione
(sembrando due tratti
cervicali in cui il diaframma
si interpone)
sono litanie, lamentazioni, un devastare
ci sono angoli esatti per il rollio, di sufficiente
devianza per pulire
gli pneumatici, la terra come
soffio di organi cavi accorciati
ad altri ordini, il prossimo
allungamento, tra quei segni:
in quella direzione, con la stima
del litio, degli occhi, la mente è quel limite,
il modo che più perfetto ho inteso:
c'è chi scocca
un deserto e larghi spazio di terreno,
chi i transiti
per gli dei delle soglie, tutelari che sciolgono
l'autorità paterna
chi, per immensi culmini, arie
senza inizio, vede
torsioni senza termine alcuno
**
non l'amnesia desiderata, il vuoto
delle sacche
minime, amniotiche, ma guaine
e guaine
a dividere nemicamente, deridere
la voglia
dell'abbraccio, il progresso
in questo stato di locomozione: l'errato
governo della cellula
semicircolare, incidentale
più di noi
gli orli si sono striati: il cambio
va fatto
nei giorni altri, alterni, meno sui vestiti
nuovi,
che ancora tengono senza ispessimenti,
ripiegano
giunzioni intermedie all'inchino
quindi un microsisma o i dieci
somiti dell'embrione:
aderenze come abbozzi
primitivi ma pronte
a cambiare, far sparire
ciò che varia l'inizio
del flagello
o la mobilità del passo, una cerniera
al mondo
***
(impossibile la creazione
di un cratere dal globulo retratto
il coagulo:
ci sono solo gengive, soffiaggi
ed estrusioni alla difesa immunitaria,
ma la guardia
in piedi è un canale per la levità)
disconoscere
le zone di passività, quindi
il pugno elettrico la separazione alfa
beta e gamma:
i liquidi bombardati
di particelle sbordano
si fanno sacri al proprio calco
si può ridurre lo scheletro,
non l'ultimo
corpuscolo
del sangue, l'errore di libellula invischiata
da una rete,
né il ciclo di krebs in propaganda
di uno sforzo
****
e finalmente il battito
cerchiato di rumore,
ponteggi alzati in tempo
e l'altro è il discorso
che facciamo e noi che siamo intatti
nel montare insieme le parole
(adesso, lo stesso, resto, ciò che è perso)
ripartizione della volta
adesso devi andare allora osserva il bianco di lesione in cicatrice
per la notte estesa altrove fino al campo ottuso dello specchio
andata avanti sui chilometri senza ritorno per distanze appena
appresa dalla luce e pensa a ciò che non succede se non guardi
assorto verso il punto che non circola degli astri o per le sorti
di una delle mille attenzioni verso il moto nell'idea che prima
o poi dovrai porre rimedio all'anomia della visione e suturare
ogni passaggio assiduo per colpi e colpe andando a vuoto
ad iniziare dalla retina mancando agganci a corpi erranti
appesi sulla volta e pure avendo scorte proprio al centro
della via a terminare l'esistente per se stesso o per te solo
osservi un'altra via di sorta in cui rimane tutto per cosciente
remissione o inalterabile dai moti ai modi opposti e stabiliti
dentro mondi di persone assorte e sillabate in questo niente
in questo breve tempo che non risente di attrazioni e desideri
cosa fare del consulto della divisione in brani e tracce disperse
per gli anni di distanza per quello che non viene mai da solo
e solo allora interpretare per predire nella pietra per qualcosa
che non potrà accadere se non in altro caso di effetti sentiti
o attraversati e notazioni spinte fuori per inerzia pur sapendo
cosa fare e se non implicarsi in opposti e rotazioni mascherate
dagli sbarramenti adesso devi andare e indaga il fegato e oramai
il poi non è più il dopo smarrito che grida nell'abito che smetti
o appena smesso fermato dopo lunga osservazione delle stelle
grida ancora in cerca del reciproco per malattie degli occhi
o le ferite e il mare gonfio di aria estratta e soluzioni dentro
al vuoto in cui vederti solo a far barriera da percosse e fenditure
rese adesso feritoie aperte e imposte nelle viscere senza temere
che gridando dietro non si veda senza luce e poi soltanto
invano o il vano come nuovo punto da cui parta un fuoco
atteso per bruciare arreso al ricevente della parte giusta
in sfregio al posto non più possibile ma così immobile conta
mai davvero realizzata credendo in tutto ciò che potevamo
***
È nel principio del suo percorso materiale, che la scrittura unisce in sé la concretezza di cosa linguistica e il concetto di essere mentre struttura il suo fare, in uno sviluppo di autoconformazione che stabilisce, senza supporti ingenuamente referenziali, ma consapevole dello spazio e del tempo in cui agisce, il suo autonomo andamento. E proprio questa sembra essere la parola poetica che Daniele Bellomi sperimenta: una partitura spiazzante, un vero e preciso versamento che procede dentro un’esistenza di linguaggio che è l’esistenza in sé. Ciò che accade – se qualcosa accade – è frutto dello scorrere in grafia di una forza materica, di un rilievo, di un attrito significante con una valenza tale da far sì che la contorsione di senso divenga la sua energia. Un torrente, dunque, che non è però un flusso di coscienza, ma un andare del pensiero linguistico che materializza le sue figure, le sue schiume, i suoi corpi erranti. E così come alcuni titoli delle sezioni rimandano a barcollamenti, a strabismi saltuari, a disagi, a un disequilibrio percettivo – situazioni dunque che obbligano a una costante, faticosa e vitale attenzione – allo stesso modo “il verso terminale del discorso” è sempre aperto sulle cose che iniziano a muoversi: a respirare nel mondo che questa poesia riesce (anche liricamente seppur in modo trasversale, sfibrato, deconcluso, sbordato) a narrare. Ed è qui che gli agganci sul reale si allungano e nello stesso tempo si sfilano dalla realtà che, contrariamente al vero oggetto materiale, a cui la conoscenza dà senso e da cui incessantemente attinge, è solo un dato parziale. Questa poesia, dunque, sceglie una conoscenza che prende avvio dalla scrittura e con essa si alimenta. E se è vero, come si dice, che il poeta sia scritto dal proprio linguaggio... allora il nostro autore ne è un esempio. Nella scrittura egli percepisce la necessità dell’urgenza e della lucidità e l’intransigenza volontaria della sua significazione: fino al punto di toccare ed esteriorizzare anche le sfumature innaturali del senso. Perché come dice Bellomi, con un’ ambiguità lessicale efficacissima nel rendere la polidirezionalità del linguaggio poetico, “non c’è verso/che ci abitui al fondo”, anche pensare che qualcosa ci elevi nel pensiero e nel suo riconoscersi fuori dalla lingua, è un’ illusione. L’unico sapere che la poesia può avviare a processo è quello che lei stessa mette in moto con il suo dire. Forse è una consapevolezza estrema, ma è la certezza di provare, scrivendo, l’andamento mentale che si affaccia ai limiti dell’essere, con tutte le sue possibili linee di percorso e di demarcazione. E questo significa sperimentare l’oggetto/lingua a partire dalla sua materia: la concatenazione fonica e grafica nella produzione lineare di versi, che non può però risolversi completamente nella metamorfosi esteriore che produce il suo soggetto. Il tratto distintivo poetico, dunque, è destinato a non avere compimento totale, né per via metaforica né letterale. La forma/scrittura scava continuamente, aggancia e destruttura, abbraccia e disperde e, con la sua forza compositiva, osserva sempre, nel bianco della pagina, un movimento che procede “di lesione in cicatrice” e sempre accoglie “il verso che le sta di fronte”.
Daniele Bellomi, nato a Monza il 31 dicembre 1988, studia Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano. Ha seguito il Corso di Poesia Integrata, nel periodo 2010-2011, sotto la direzione di Biagio Cepollaro. È co-fondatore del blog di poesia e scrittura non-narrativa plan de clivage. È autore dei blog asemic-net e eexxiitt. Suoi testi sono apparsi altrove online su «Poesia da fare», «Niederngasse», «Nazione Indiana», «Gammm» e «Lettere Grosse». Presenta qui la silloge inedita ripartizione della volta, sua opera prima.
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