Sergio Fabio Berardini, filosofia, Nichilismo e rivolta, Il Poligrafo 2008

Il sacro nome del demone russo

 

“ Adesso finalmente mi sono messo sul mio nuovo libro: su Dostoevskij. Conterrà molto di più (… ): grosse parti della mia etica metafisica, della filosofia della storia etc...” .

Siamo nel marzo 1915, chi parla è Gyorgy Lukacs a proposito del suo “Dostoevskij” (traduzione e cura, con postfazione, di Michele Cometa, edito da SE). Già il suo famoso “Theorie des Romans” conteneva dei precisi riferimenti all’autore russo, “ D. non ha scritto nessun romanzo (…) egli appartiene al nuovo mondo”. Il nome del demone russo e l’utopia del “regno dei cieli sulla terra” o al contrario la speranza in una nichilistica palingenesi agitavano speranze di rivolta e di superamento del nichilismo, del mondo abbandonato da Dio, con la coscienza precisa che l’ideale greco dell’unione fra filosofia, cioè pensiero, e vita era ormai irriproponibile. I personaggi di D. sono eroi di romanzi criminali perchè sprofondati nell’orrore dell’andare fino in fondo al delitto. Di più: un rinnovamento poteva venire solo dalla Russia dove i dettami dell’anima del singolo possono essere immediatamente trasferiti a tutto il popolo.

Si riparta da qui. Si riparte da un pensiero che non vuole riparare a disagi, né decostruire, né creare immagini necessarie come paradigmi anche se seducenti come la stessa solitudine che vorrebbero esorcizzare (deserto, vuoto, silenzio, segreto, solo). Qui errare vuol dire – sbagliare. Si riparte dal sottosuolo, preso anche nella sua superficialità (quella cara a Valéry) .

Si riparte dalla filosofia come uso sereno della mente, impresa dell’intendimento conoscitivo, dire e portare nel linguaggio un modo umano di stare al mondo.

Si riparte dopo cent’anni con il pensiero vicino di Zambrano, Natoli, Galimberti, Guardini, Givone, De Martino, Kojeve, altri sacri demoni attraverso cui rintracciare lo sviluppo del pensiero dell’Autore.

La meraviglia di questo libro è la sua forma estetica-etica: il libro è quello che si vuole e si va dicendo. Dunque è intimamente russo, connesso alla topologia delle proprie asserzioni, è un’epica del pensiero, un romanzo-racconto di idee, nel quale l’autore svela il proprio percorso di pensiero raccontandone le radici. I romanzi di D. e i suoi personaggi sono specchio oltre che motivo di analisi.

Con rara capacità Berardini cita anche ampie parti dei romanzi di D. che si fondono (strumenti, causa, mezzo) col proprio dire, sapendo mantenere la stessa nostalgia, la stessa musica. I temi sono fra i più urgenti: il male che vive nel mondo, la morte sia come caducità sia come mistero, il senso del vivere chiuso nella finitezza, l’anima e la coscienza, l’etica soprattutto nel suo rapporto col sacro (di cui B. propone il significato di “impedire l’accesso, sbarrare” individuato da Giovanni Semerano), la lotta fra gli opposti e la possibilità di superarli senza cadere in agganci metafisici né tantomeno morali. Temi urgenti in un tempo – questo – di altrettanta violenza, in cui l’uomo è così debole al richiamo del sottosuolo, inteso adesso come l’arte di “fare quello che si può” (il nuovo “da- farsi”). Tempo di rimozioni continue e parole che riparano alla mancanza di senso, tempo in cui tutto sembra possibile tranne seguire fino in fondo la propria unicità e il suo abisso.

E dunque: quale rivolta? A quale deserto? L’inquietudine non è sottile. E’ solo una confusione puntata, desiderio non gravido, sorriso spento. L’inquieto parla di sé, prima o poi dice perchè l’inquietudine trabocca l’anima, portandola ad ebollizione. Qualche voce comincia a pronunciare la parola “accudire”, avere cura di sé e degli altri – la madre che culla e alleva e che sorride alla propria gratuità. Ma è sacrificio, ne può valere la pena? La risposta di Fabio Berardini è una scelta cristiana, dove Cristo non è il Figlio del Dio cattolico, così come l’amore non è la religione a più buon mercato. Serve un’anima.

“ Il secolo della scoperta dell’anima è arrivato. (…). Dobbiamo riscoprire l’anima. E il potere dell’anima. Abbiamo bisogno di una nuova religione dell’anima, senza dogma, senza leggi – solo sentimento. Cristo divenne chiesa. E per questo fallì. Noi dobbiamo istituire un dominio dell’anima.” Da Lukacs si è ripartiti e con lui si chiude, in un’epoca ferocemente diversa, altrettanto violenta, in cui sembra che il nichilismo non sia giunto alla sua fine, in cui quella ragione che ha ucciso l’anima è stata studiata, sezionata, spesso condannata ma sempre più offesa e atrofizzata, un’epoca insomma senza anima, senza ragione, senza epica, senza limite, epoca in cui un libro come questo getta una luce sul pensiero libero. Daniela Cabrini