Gaetano Ciao, Apparire nell’assente

Gaetano Ciao 

Apparire nell’assente 
 

Testi poetici 

Ciò che unisce e separa il presente è l’assente

è il senso dell’attesa, il provvisorio, mentre

l’uno e l’altro si avvicinano e si allontanano

senza sosta, al limite dell’appartenenza

nella parola 

E’ necessario gettare lo sguardo nell’abisso:

di là viene la voce, di là sale l’urlo che squarcia

le tenebre della lingua degli uomini. L’urlo

della tela rapita attraversa un attimo il buio

e si spegne lontano nel baratro, dopo

l’apparizione nell’assente

 

Nota critica di Giorgio Bonacini 
 

   Una delle chiavi per entrare nella poesia di Gaetano Ciao sta, credo, nella sua estrema (e anche combattuta) attenzione per ciò che la scrittura poetica mette in atto nei confronti dell’esterno: e cioè un’autoriflessività in cui       “ l’immedesimazione non è quella della parola/con la cosa fuori di sé, ma della poesia/con se stessa...”. Una parola, però, che pur non avendo refe- rente fuori di sé è continuamente in lotta con il mondo: perché la poesia, nonostante la sua vita in condizioni di separatezza, si accompagna al presente “al limite dell’appartenenza/nella parola”. E questa appartenenza (ma potrebbe anche essere solo una parvenza di legame) permette a chi scrive di aderire alla propria voce in modo quasi fisico, corporeo.

   Ma la costruzione del poema non è un’attività su cui si ha facile presa: appena si pensa di averla conosciuta, essa sposta il suo senso altrove. I significati si allontanano, barcollano, slittano, fuggono senza per questo pensare che non si possa afferrarne qualcuno: perché se “i nomi sono corpi”, allora la parola che li nomina realizza in sé la concretezza del reale, avvicinandosi alle cose e a qualche interpretazione della realtà.

    Gaetano Ciao si avventura con mirabile leggerezza nei meandri di una ri- flessione in cui parola, corpo, pensiero, erranza, assenza, apparenza e silenzio non sono concetti vaghi e sfumati, ma termini che si sostanziano veramente in parola autentica, aperta  e disponibile ad andare in più dire- zioni. Perché il poeta sa che la sua voce è sempre sospesa su un vuoto, e questo vuoto si materializza in un’attesa di “pagine bianche” che la poesia sfigura raffigurando se stessa anche nell’altro: nel suo dire altro.

   Ma a volte, quando ci si rende pienamente coscienti che “è il buio il      primo dono della vista”, stare nell’oscuro ( non “all’oscuro”  che è una sua     banalizzazione) non vuol dire essere nel non-significante, ma vedere l’oscurità come senso in sé, e poi leggervi dentro. Per Gaetano Ciao scri- vere è rimanere sui confini del reale, avendo ben presente che anche una piccolissima cosa (la casina del Lago, ad esempio, nella poesia intitolata Sum, ergo dubito), nella sua solitudine di oggetto, è rappresentazione di una multiformità (“uno e plurale il senso”, dice l’autore) che a partire dal silenzio illumina innumerevoli sfaccettature.

   Anche la poesia, si sa, è una cosa e parla. Ma parla con una voce che si sottrae, per poter anche solo sfiorare la precarietà della realtà che ferisce e confonde: senza mai, però, in questo suo fare vagante e divagante, separarsi da chi la pensa e la pronuncia.