Alberto Casadei, Ricognizioni dell’isola

Alberto Casadei, “Ricognizioni dell’ isola”  [1] [2]

Nota critica di Marco Furia

L’isola 

Come dal mare emergono le rocce e le terre di un’ isola, così dal silenzio affiorano i versi di Alberto Casadei che, con “Ricognizioni dell’ isola”, presenta costrutti poetici esili e robusti nel contempo. 

Esili quanto a immagini, certo intense e vivide, ma come ancora prive di schemi utili alla comunicazione, robusti nell’ accorta composizione, frutto d’ impegno coerente e assiduo. 

Quello che più colpisce nei versi in parola è proprio la fusione tra i due àmbiti, anzi, nemmeno, poiché per Casadei pare trattarsi di diversi aspetti di un’ unica, poetica, dimensione: egli, cioè, rende davvero conto, nel concreto della sua lingua, di uno stato di fatto in cui non c’è posto per apriorismi di alcun tipo,  bensì soltanto per il fluire di energie. 

Il suo idioma è già vita, nel senso che, altrimenti, null’ altro potrebbe sottrarre spazio al silenzio: tutto esclude nel momento in cui ogni cosa include, secondo un atteggiamento la cui natura intransitiva testimonia di un’ originale prassi poetica. 

Gli ultimi versi “Un giorno arrivò, / un ritorno previsto, / acqua e acqua, / senza risposte / sino alla sabbia / appoggiata sul / vano” sono emblematici di propensioni che, non avvertendo la necessità di scomporre per poter analizzare,  nulla escludono per meglio capire. 

Un di più quantificabile non in oggetti o fatti, bensì in una scrupolosa attenzione nei confronti di quanto ci capita e ci circonda. 

Il tutto senza abbandono, né enfasi.