Trascrizione del commento interpretativo di Flavio Ermini

Silvia Bre, Sempre perdendosi, Nottetempo, Roma 2006 

Trascrizione del commento interpretativo di Flavio Ermini

alla terza Biennale Anterem di Poesia, 17 ottobre 2008. 

 

Cominciamo con il registrare un'esperienza comune a tutti:  le parole hanno il potere di rendere visibili cose e accadimenti che un attimo prima si intravvedevano appena. 

Ebbene, con Sempre perdendosi, Silvia Bre rivela quella soglia che unisce un'esperienza storica, ben incastonata nel tempo e che tutti noi conosciamo - cioè il martirio di S. Sebastiano -, con un'altra di natura poetica. 

Su quella soglia stanno le questioni decisive e costitutive del destino dell'essere umano.

L'uomo.

Badate bene: un essere pensato originariamente come luce, ma che, per come si è rivelato sulla scena del mondo, appare ora come ombra.  

Ascoltiamo le parole che l'essere umano pronuncia e che Silvia Bre fedelmente registra: «Io vengo deportato / vengo allo sguardo».

Cosa vuole dirci Silvia Bre?

Ci annuncia che dall'ombra l'uomo sta per tornare alla luce.

Infatti, ecco che l'essere umano aggiunge: «Mi metto in mostra / come una vergogna».  

Il ritorno a quella luce iniziale - ed è questo  l'annuncio dell'opera, di Sempre perdendosi - può ancora essere compiuto, ma attraverso un cammino che costituisce il problema più grande. 

Nel suo incedere verso la luce - una luce che lo ferisce e che lo porta in giro sanguinante - l'uomo non cerca un riparo che lo protegga; al contrario, offre il suo ascolto.

È un gesto di sfida consapevole quello che l'essere umano ci rivolge.  

Le sue parole - l'essere umano - ha dovuto prima sentirle come straniere, per poi rivolgerle a noi da straniero, e potersene alfine appropriare come della propria lingua.

D'altro canto noi non possiamo rispondere.

Ci è data solo la possibilità, a nostra volta, di ascoltare. E condividerne il pianto.  

Attraverso le sue parole - così come poco fa le abbiamo ascoltate da Slvia Bre - anche noi dobbiamo fare esperienza dell'estraneità, dello straniamento.

Solo nella non familiarità e nel sentirsi quasi stranieri si illumina finalmente l'essenza dell'essere a casa, dell'appartenenza.  

L'ascolto. È questo il primo apprendimento all'uscita dall'antro: ascolto come passività nella quale può prendere forma la passione

Il mondo era prima silenzio. Ora il mondo parla. Si rivolge a noi. Ci parla di un martirio incessante. Ci rivolge un appello

La voce che rompe il silenzio del mondo - poco più di un soffio, di un leggero respiro - opera uno sdoppiamento: noi ci sentiamo rispecchiati in essa.

Tanto da sentirci portati verso un centro vitale inattingibile.

Dove diventa irrilevante sapere chi testimonia e chi convoca; chi è noi; chi è chiamato a sperare... 

Bisogna fidarsi della parola e affidarsi a essa.

È necessario accoglierla con il nostro assenso, in questo lungo cammino verso la luce. 

Affinché non ci sia più bisogno di un martirio per diventare consapevoli del progressivo impoverimento al quale sottoponiamo la nostra vita. 
 

Flavio Ermini