Vincenzo Di Oronzo, Mimi e sonnambuli, Empirìa 2007

Vincenzo Di Oronzo, “Mimi e sonnambuli”, Empiria 2007 

Testi poetici 

*

Al bagliore di lampada, uno soffiò un lume

                                                    sui tuoi occhi,

per leggere la cometa di chi muore tra i passanti.

L’altro suonò un’armonica a bocca,

che sfiata il pianto dei comici.

Incantava in costumi serali l’abbagliante

indifferenza del passeggio,

l’impossibile gioco dell’io.

9 nasse

            Oscillano lune come abiti dell’anima.

9 tracce,

             cavalieri inesistenti di un viaggio

9 ellissi,

             cembali d’acqua. Ruote di un sogno 

*

Tu sei la vela di pietra che aspetta se stessa, il gesso che imbianca

il compito dell’ombra. Rotola il vaso cantore sulla porta

senza amore, il cembalo afono

                        tra i gesti neri.

                                      Il volto il vuoto

                                      I piedi d’acqua.

Non è altrove la città opposta alla mente,

                                      la faccia che oscura la III luna.

                                      Soffoca la Pizia nell’anphora bruna;

le mani prossime al nulla.

                                      La bussola appesa all’ansia dei mandorli.

 

Nota critica di Rosa Pierno  

Sulla pagina, vero e proprio teatrino di carta, sfilano personaggi e oggetti provenienti da epoche diverse, da ambiti inconciliabili, alcuni hanno volti in ombra o maschere, mentre alcuni hanno solo labili apparenze, sembrano larve dai contorni indefiniti. L’adunata sulla pagina è caotica, non offre loro un ruolo, una gerarchia. Le facoltà del poeta livellano la loro valenza e li legano attraverso fili trasparenti,  velature, atmosfere, affioramenti. E’ una poesia, quella di Vincenzo Di Oronzo, diafana, avente la trasparenza del cristallo e magmatica al tempo stesso per la sua capacità di ammassare sulla pagine i  rigurgiti del suo mondo interiore. Il verso stesso si sventaglia, assumendo lunghezza diverse, adeguandosi alla materia da trattare, alle occorrenze da depositare sulla pagina, ma anche al vuoto, alle inevitabili cesure che il flusso di materiale eterogeneo racchiude in sé: “Statue distanti un’eco, l’oppio di un volto. \ è Venezia? \ In una gondola cantano. In una gondola la morte indossa le scarpe di un bambino. \ Qual è la distanza tra le galassie e i cristalli dell’io? \ Nessun segmento. I naviganti dimenticano i loro ritorni nei porti d’Olanda”. Materiali così disaggregati, aventi verbi che corrispondono dal punto di vista grammaticale, ma non semantico, richiedono che il lettore deponga le sue aspettative per aprirsi a una inusitata maniera di pensare.   Le associazioni possono avere una logica dissenziente e percorrere sentieri più ripidi e sorprendenti, possono tracciare una visione diversamente valida. Occorre disimparare per imparare, occorre avere il coraggio di giocare come funamboli con le parole. Si vedrà allora che il senso è sempre in agguato, che produce nuove costellazioni in cui ciò che è presente è un assemblaggio di memorie e di percezioni, di assenze e di presenze,  di segni e di oggetti: tutte cose restituite attraverso un amalgama  di suono \ senso: “Cloni d’uomini e uccelli, aspersi di luce, nella sala del Demiurgo, \ si abituano ai bagliori delle forme, alla cangiante grammatica della vita”. Il regno di Vincenzo Di Oronzo è dunque il mondo dei segni, ma mondo ambivalente dove le immagini, pur trasformate in parole, conservano intatta la loro capacità di materializzarsi davanti agli occhi del lettore. E’ una poesia visiva non solo perché c’è una costante attenzione alla disposizione delle righe in relazione alla dimensione della pagina, ma soprattutto perché sulla pagina si compone e si scompone continuamente un collage visivo con brani di immagini che si sovrappongono o si allontanano: “Figure erranti nei vetri; \ un vassoio di fichi e menta varcò l’uscio lunare. E donne sparite in una brocca d’acqua, \ tra porte d’occhi brillanti. Astri sereni”. Poesia di trasformazioni virulente, di imitazioni effettuate attraverso traslazioni, di risonanze prodotte da letture altrui, di versi franti e ricomposti. Si può considerare “Mimi e sonnambuli” una medioevale vetrata di inesauribili forme e colori, non solo un libro. Ma, appunto, un libro non è forse anche mobile duna? 

Vincenzo Di Oronzo, docente di semiotica letteraria e linguistica generale, critico letterario e saggista, ha pubblicato numerose opere tra cui le raccolte poetiche La coscienza dell’acqua e Hanphora hermaphrodita.