Evelina Schatz, Amici amati, Karwan Samizdat 2005

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Evelina Schatz, “Amici Amati”, Karwan Samizdat 2005 

Testi poetici 

*

Dov’è il luogo che ha affossato la mia passione

la festa pulsante della carne

                                           esibita senza remore

ora ingoiato dall’oblio, ma forse anche lì

trova senso senza più stimoli

                             l’erotismo obliquo e trasognato 

Scendere agli inferi da soli si sa è impossibile

pietrificata Musa, vuoi cogliere l’ultima occasione? 

*

mercati di Odessa

odore di rombi e sgombri

Goethe, il burattinaio

tirava fili del

pensiero al nascere

Scrittura gotica era poesia

il gioco impossibile

tradizioni sconvolte

frantumi di memorie

schegge catalogabili

negli archivi scomparsi

carovaniere lanciate

nello spazio altrove

piste di partenza,

sempre nuove 
 

Nota critica di Rosa Pierno 

I lettori sono immediatamente introdotti dalla prima poesia all’interno di un antro che si perde nella notte dei tempi, perché qui l’elemento paradossale è proprio la presenza del tempo: convocato, ma solo per essere rovesciato nel suo contrario. Che esista un tempo che vada in direzione opposta a quello indicato dagli orologi è di lampante evidenza. La Schatz ce lo mostra come un trofeo di cristallo: significati, nomi, storie sono contratte in astanza: i ricordi si presentificano insieme all’atto del sacerdote egizio che cancellava i segni, come in recenti giorni fa Isgrò. L’asse diacronico è compresso. Esiste solo un punto sincronico ed è profondo come un buco nero. Che la poetessa scelga di fatto che cosa far affiorare dal calderone è nondimeno  atto casuale: “a Samarkanda il giorno di battaglia \ si parte per la luna: \ spazio amletico e talmelliano”. Compresenza ha questo di peculiare: coesiste. Si vede solo quello che se ne può vedere, quello che emerge dal caotico ammasso. Come si potrebbe d’altronde realizzare la biografia di un essere umano? Ci sono mille modi per narrarsi e nessuno  di essi può esaurire l’argomento, ma ogni parola-mattone costruisce un edificio dal quale non si può prescindere. E l’edificio costruito dalla Schatz ha una particolarità indeclinabile: è costruito con la cultura, l’immagine che si viene formando negli occhi del lettore è fatta di citazioni, frammenti di immagini e di parole che non hanno referente, quasi a voler volgere in ostico atto l’atto stesso della comunicazione, appena illuminato dalla soave scorrevolezza del verso: “a dicembre ad Agazzano nel ripetersi del rito \ luce lene gettata sull’amore \ perenne canto dell’universo al lume \ dell’incanto dell’essere. Così Natale!”.  Anche la dimensione della scala è alterata: sono presenti soltanto i due estremi: ciò che si vede, gli oggetti quotidiani, la linea dell’orizzonte e ciò che non si vede, l’infinito, il non immaginabile: “Gioire fino all’infinito \ Festeggiando la propria nascita \ nella perdizione scivolare sullo scivolo \ del sestante di Ulug-Beg”. La Schatz ha costruito il suo libro solo in apparenza con materiali eterogenei, in realtà esso risulta coesissimo, forgiato da una temperatura esistenziale che li ha portati a fusione. Così questo libro, biografia di sé e insieme biografia di amici, di amanti, di conoscenti, è insieme libro dell’infinito:  “ quel manto di pelle \ madida calda e sfatta \ mi prendeva nel Suo \ infinito - del dopo - \ l’amore - del dopo \ la morte – grembo \ materno”. Esiste un universo  possibile dove l’io si fa con gli altri.   

Evelina Shatz è nata sul mare di Odessa. Poeta bilingue, scrive in italiano e in russo. Artista, performer, saggista, giornalista, storico e critico d’arte, regista e scenografa, ha pubblicato in Italia, Russia e altri Paesi, saggi, scritti di narrativa e di teatro. L’opera omnia della sua poesia in lingua russa è uscita nel 2005 per la Casa Editrice Russkij Impuls.