Alessandro Assiri, "In tempi ormai vicini", Edizioni CFR 2013

Alessandro Assiri “In tempi ormai vicini”, Edizioni CFR, 2013

 

fin troppo facile intuire tra le righe le cesure

tutto il recidere delle forbici, tutto il piovere nel buio

a frenare l’entusiasmo di esser neanche a metà strada

 

 

da vamos a la plaza

 

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Chissà Jonas come si scrive duemila

su questo muro che è pelle da sporcare

perché colla ce n’è ma più nulla da attaccare

 

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Di questa violenza a lato che riparte in storie fisse

contro la noia delle luci spente, degli anni che ci sembrano

risplendere soltanto quando escono di scena

 

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Ognuno si sente i libri addosso

come evoluzione di una lettura nervosa

che da carne diventa superficie

delle periferie dove ci hanno infilato

 

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Se devo esser povero bisogna che ci creda

che resti all’ingresso del sonno di domenica

coi piatti da assaggiare imparati da un profilo

se è carne o benzina quella che dobbiamo versare

su questo cuore obeso a cinque litri da una tanica

 

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Coi mali immaginari a tappezzare la tana

con la croce al collo diventare come loro

parenti alla lontana

 

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La voce più bassa il nemico più grande

piano piano torna ferro il legno

non c’è più niente di civile che ci lascia in pace

 

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Il sostegno scucito dal gorgoglio dei morti

il nostro cercare con gli scarti

 

 

Alessandro Assiri con la silloge “In tempi ormai vicini” sceglie di riportare alla nostra attenzione un tema storico, politico e lo fa con quella appassionata presa in carico che è tanto più vera quanto più è amara, a tratti cinica. In ogni caso coinvolgente. Le stragi di Brescia e di Bologna costituiscono un unico contenitore delle emozioni e dei pensieri dove la sorpresa, l’annichilimento dei presenti, passati in un istante dalla quotidianità alla tragedia, sollevano appunto la ferale questione: quale distanza c’era tra quotidianità e tragedia? Non era già tutto presente? Non dovevamo già essere tutti consapevoli della situazione storica e poi qual è la differenza, visto che esiste, tra l’essere sopravvissuti alla tragedia e la voglia di lottare affinché non più accada?: “senti come tace il tuo pugno alzato / adesso che indietreggi perché sei rimasto vivo / tra una scarpa calzata e un’altra perduta”. Naturalmente la voce acre di Assiri nel raccontare anche l’esito processuale non si esime dall’esprimere giudizi e critiche, ridisegnando il profilo del poeta impegnato: “Entra la corte svolazzan le toghe papaveri alti il resto son seghe / tutti i colpevoli trovati in serata con alibi pronti e corsia riservata”, giudizi che non risparmiano anche il modo in cui si credeva di essere impegnati in quel tempo storico, forse coinvolti più in un gioco che in una azione incisiva e responsabile. Ma il tempo storico è sempre anche il tempo presente della coscienza e allora un confronto tra i due stati dell’io porta il poeta a scoprire un orizzonte solo falsamente mutato dal digitale o dal precariato, ma ancora più inconsapevole e assuefatto: “Un paese che si indigna a gettoni di presenza / ha dimenticato che piazza è azione in potenza”. Eppure, il poeta ci avvisa che sono proprio i morti delle stragi a costituire per noi la possibilità di un passaggio a una più civile vita: se vivi fra noi vivi. (R. P.)

 

Alessandro Assiri è nato a Bologna nel 1962. Da molti anni vive tra il Trentino, Bologna e Verona, città dove gestisce la Libreria Bocù insieme alla sua compagna. Si occupa di arte e promozione culturale. Tra i suoi ultimi volumi di poesia ricordiamo Modulazione dell’empietà e Quaderni dell’impostura pubblicati con Lieto Colle, La stanza delle poche righe (Manni), Cronache della città parallela, poemetto in versi insieme a Serse Cardellini, Thauma Edizioni. Scrive in http://lastanzadellepocherighe.blogspot.it