Leonardo Bonetti, Premio Opera edita 2012: da “A libro chiuso”, Sigismundus 2012, con una nota di Rosa Pierno

IL LIBRO LUOGO D'ABBANDONO

 

Il libro è un’utopia tentata, defraudata.

Luogo di un abbandono, pagina che chiude pagina,
recinto di ombre più che di luce.

Il libro deve nascondere. E’ un oblio di pietra, un
tentativo venuto prima della forma.

A due pagine aperte corrispondono mille pagine
chiuse in un rapporto esageratamente sproporzionato.

Vero luogo di privazione, è nel suo silenzio che si
aprono tutte le frontiere del mondo.

Perché c’è una scrittura prima della scrittura che non
esaurisce la misura dei suoi significati.

E ogni lettura sarà riscrittura; e il lettore colui che
aggiungerà una parola al libro chiuso e, dopo averla
scritta, lo chiuderà nuovamente.

E’ la distanza che passa tra la parola scritta e l’atto
della scrittura che permette al lettore di profondere
tutto se stesso nella pagina chiusa.

Il libro chiuso ha pagine saldate; si può  leggerne il
dorso senza rammentarne l’oblio.

 

 

Il libro è un mondo non esauribile. Anzi, sostitutivo del reale. Parrebbe possibile affermare che vi è più vita e realtà da scoprire in un libro che nell’esistenza che pure gli dà la stura. Apparentemente silente, monumentale, distante, utopico, macchina produttrice di oblio, ma sono proprio queste le chiavi di volta da cui scaturiscono plurime voci, percorsi, confini, ombre rigogliose, la proiezione dei secoli: sulla “pagina chiusa, alitano respiri eterni”. Se è vero che l’interrogazione sul libro ci riporta immediatamente alla mente i testi di Jabès, con cui Bonetti condivide anche parzialmente lo stile,  è anche vero che sarà proprio negli interstizi di quest’operazione poetica che si potranno rinvenire le vie non intraviste prima. Equivale, per noi, al vetrino che apparentemente pulito, messo al di sotto del microscopio sveli un’ulteriore dimensione. Una sorta di cannocchiale che, se stabilisce come oggetto dello sguardo il libro, finisce col mostrare di fatto i meandri e le rifrangenze dell’inesauribile, poiché, miracolo dell’inversione, il libro è vita. Infatti, “A libro chiuso si può sperimentare l’assenza del suo corpo senza compiacimenti”. Anzi parrebbe che esista una relazione profonda, che funziona come una serratura a scatto, nel rapporto fra noi e il libro: se il libro è chiuso, se sta accanto a noi o fra le nostre mani, o se invece ne apriamo le pagine, ecco che tutto intorno a noi cambia, le scenografie, le reti, le profondità, gli echi. E in questo meccanismo, “in questo inganno eserciterà tutta intera la sua libertà”, poiché nessun senso ne può essere estratto, né potremo possedere. E’ qui che si misura l’originalità della voce di Bonetti, in questo spogliare il libro di tutte le sue particolarità, caratteristiche precipue per farne uno strumento, un oggetto equivalente allo specchio di Alice nel paese delle meraviglie,  qualcosa da cui si passa e che consente “cambiamenti meno apparenti e più duraturi”. Varrà anche come antidoto al potere, poiché il libro si rivela capace di fagocitare e trasformare tutto, ma avendo al centro l’umano, o meglio, risospingendo i valori umani sul gradino più alto, in una vera e propria rivoluzione. Allo stesso modo di un aratro che rompa il muro di terra in zolle, il libro “promuove una sfida eterna tra la sua costellazione e la sua possibilità”.  E per tutto questo, mirabilmente, è sufficiente che il libro sotto il nostro sguardo sia chiuso, preservando “il mistero dell’essere, dell’oblio, del nulla”. 

 

Leonardo Bonetti è nato a Roma nel 1963, ha esordito per Marietti con Racconto d’inverno (2009), vincitore nello stesso anno del Premio Nabokov. Nel 2010 ha pubblicato sempre per Marietti il suo secondo romanzo, Racconto di primavera, accompagnato da una nota critica di Walter Pedullà. Con questo libro ha vinto recentemente il Premio Carver 2011.