Roberta Sireno, “Trasmette luce differente, acqua”, videolettura; note di Laura Caccia, Adelio Fusé, Irene Santori

trasmette luce differente, acqua

buia di montagna, occhio

fossile nel tatto che riprende

nella vocale che articola e cede

all'impatto della visione, largo

campo di foglie e poi

solo vento

 

Laura Caccia per Roberta Sireno

Un germoglio del caduco il testo poetico di Roberta Sireno. Pronto a schiudersi all’interno di una stagione oscura, dentro un calco residuo da cui irradia mistero. Un germoglio della visione, della parola, dell’oltre. Denso della ricchezza occulta e manifesta che un intero contiene, racchiuso nella forma compatta e insieme aperta del testo, e, nello stesso tempo, colmo della precarietà che il molteplice declina nelle sue forme fugaci.

Quasi un affresco dai rapidi tratti e dalla pluralità di strati: dove, da una profondità remota, sbocciano immagini pronte facilmente a dissiparsi. Il colore sensoriale è quello immediatamente percepibile: una varietà di impressioni visive, tattili, uditive che si dilatano e si richiamano tra i versi. Al di sotto, in chiaroscuro, la trama oppositiva che governa il pensiero dell’intero, tra gli ossimori che trattengono, uniti, oscurità e chiarezza, fissità e movimento. E, ancora, tra le sfumature, la presenza rarefatta dell’oltranza: all’inizio, introdotta da una luce altra; al termine, lasciata emergere dal vuoto che il vento trascina in primo piano.

Un affresco alla fine sottratto al visibile, non però alla parola. Sulla compattezza visiva del testo, supportata dall’unica strofa che lo compone, la dinamica delle sonorità interne, amplificata dalla vocale risonante in posizione centrale, prende il sopravvento. Sottesa nell’oscuro, ma potente nel suo emergere, la presenza della voce tra gli elementi naturali e sensoriali riesce a portare il testo altrove. A dipingere lo sbocciare di una visione che cancella. Sotto forma di ossimori, i sostantivi e i loro attributi. In battere e in levare, in sottrarre e in dilatare, le forme verbali. Così una parola altra prende voce, “trasmette luce differente”.

 

Adelio Fusé per Roberta Sireno

Una sola strofa di sicuro effetto, fonicamente omogenea, misteriosa e onirica, che accosta immagini di segno opposto ("luce differente", "acqua / buia"). Ciò che qui si descrive è un'esperienza sensoriale onnivora: il vedere ("occhio fossile nel tatto", attore e testimone in sintonia con il tempo smisurato delle ere geologiche) si unisce al tatto (dunque la fisicità) e sbocca nella necessità del dire ("vocale che articola").

La rapida concentrazione delle immagini, simile a quello di un sogno, infine prende respiro e si allenta ("largo / campo di foglie"), ampliando la prospettiva: il "solo vento", isolato e conclusivo, disperde la visione; oppure, meglio, la sospinge altrove. Perché la visione – sembra ricordarci Sireno – è dinamica, mai ancorata a uno stesso punto del paesaggio (reale o immaginario che sia), e in movimento continuo.

 

Irene Santori per Roberta Sireno

Considero la poesia di Roberta Sireno meritevole di vincere, per avervi incontrato, oltre alla misura e originalità di talune immagini, riscontrabile anche in altri finalisti, una ricerca di unità compositiva del testo, giocata su serrati rimandi interni.

Tatto e udito, in una spirale sinestetica, sembrano afferire alle proprietà dell’occhio e dare alla vista la facoltà di toccare e articolare suoni, anzi la vocale, parola connotatissima questa, che porta in sé l’origine oscura del linguaggio, prima dell’avvento delle consonanti. Perciò l’occhio si fa tramite di una luce differente, altra, ossimoricamente buia, come acqua di montagna, forse carsica, ovvero del profondo. Ma il buio dice molto di più. Questo potenziamento sensoriale viene infatti pietrificato, quasi accecato, nella fossilizzazione dell’organo di senso, occhio fossile: l’espansione dei campi percettivi è dunque contestualmente abolita fino alla perdita della stessa facoltà visiva dell’occhio. Recuperata poi, ma in chiave deponente, in un arrendersi alla visione, soccombendo ad essa.

Quel cede, inanellato a riprende, entrambi a fine verso, non è dunque nel campo semantico del cedere ovvero del dare, come alienazione di un sicuro possesso, ma ancora nella modalità passivante della resa: non siamo nello schema del prendere e del dare, ma del prendere e perdere.

Accumulo e perdita: ancora una volta, come fosse una coazione a ripetere dell’autrice, si riaffaccia il nodo - tematico e portante dell’intero componimento - dell’espropriazione, della sottrazione e spoliazione: nel campo visivo come nel campo semantico, e come, infine, nel campo di foglie… Immagine, quest’ultima, quasi olfattiva e di raccordo e sintesi di tutte le disseminazioni del testo. Essa ci dice di accumuli di foglie cadute da alberi che si vanno spogliando. Appena un colpo di vento poi e si spoglia anche il campo.

 


Roberta Sireno (Modena, 1987) autrice di Fabbriche di vetro (Raffaelli, 2011) e senza governo (Raffaelli,

2016). Riceve il primo premio al Certamen (Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, 2009) e al concorso di poesia Dentro che fuori piove (Università di Bologna, 2013). Suoi scritti sono su «Poetarum Silva», «blanc de ta nuque», «Golden blog», «La macchina sognante». Principali rassegne: RicercaBO (Bologna, 2012), Teatro Valdoca (Cesena, 2013-2017), Cabudanne de sos poetas (Seneghe, 2014), Magnifico Teatrino Errante (Bologna, 2016-2018). È curatrice insieme ad Anna Franceschini della rassegna Una come lei. Incontri e pratiche di poesia (2018-2019, Centro delle Donne di Bologna). Nel 2018 è prima classificata al premio nazionale Anna Osti di Costa di Rovigo nella sezione poesia edita.