Prima pagina/2, Per Marosia Castaldi: Mara Cini, “I paesaggi di Marosia Castaldi”

Di Marosia Castaldi ricordo la figura elegante e la presenza austera (ma con qualcosa di fragile) agli incontri della nostra redazione.

Ora che è mancata (ma tutti noi l’abbiamo saputo con molto ritardo) ritrovo casualmente Marosia in un refuso del suo nome (Mariarosa!), sulla quarta di copertina di un’edizione economica de La signora delle camelie dove è riportata (non so con quale pertinenza) una sua frase sulla passione… È questo improbabile cortocircuito di senso che mi riporta sulle sue tracce.

Ritrovo i testi pubblicati molti anni fa su Anterem: Paesaggio delle citazioni notturne sul numero 44 nel 1992; Paesaggio del mobile sul numero 47 nel 1993; Natura morta sul numero 49 nel 1994; Non paesaggi sul numero 53 nel 1996.

Ritrovo il volume Piccoli paesaggi, edizioni Anterem, 1993, che la nota critica di Lucio Klobas inquadra con grande perfezione: Nella scrittura di Marosia Castaldi, l’io narrante non solo si espande in tante psichiche proiezioni che preludono al suo dissolversi, ma riassume in sé la memoria del tempo trascorso che continua a vivere nell’immaginario. Oscilla a pendaglio tra l’assorta rappresentazione di un passato vischioso e, attraversando le ceneri di un presente inafferrabile quanto misterioso, giunge a sperimentare un’infinità di futuri possibili (…).

Intensità e densità, scrittura labirintica e ossessiva (Klobas parla di riferimenti a Bernhard, io citerei anche Uwe Johnson) dove tutto è paesaggio perché la scrittura tutto dispiega, sottopone e sovrappone allo sguardo. Ci sono paesaggi “reali” o plausibili, geograficamente esistenti (Paesaggio di Assisi) riprodotti alternativamente in una prospettiva a volo d’uccello e in una visione che sgrana le figure fino all’astrazione. Paesaggi della mente, infiniti, pullulanti di icone, di vuoto, di ansia fisica. E c’è un Paesaggio etrusco, un paesaggio notturno, un Paesaggio delle pareti del mondo (dove in molti hanno tentato di arrampicarsi scivolando sempre giù). Paesaggi che come i sogni si levano forti sopra le teste eppure sono contenuti nelle teste.

In una delle ultime collaborazioni alla rivista, 1996, troviamo i testi, di Non paesaggi, lucidi compatti, specchianti, assurti quasi a una sorta di still life, linea d’ombra, ricordo del limite, pienezza della vita che dà, in quanto tale, la prossimità costante della morte.