Stefano Guglielmin, La natura della rete: tra pesciolini di plastica e ossi di seppia.

Da alcuni anni seguo e segno quotidianamente alcuni quartieri della rete, ne marco gli angoli, come un cane di strada. Ho anche una mia cuccia, bianca, dove deposito gli ossi. Talvolta sono di seppia, talaltra di gallina, ma l'intenzione è sempre la stessa: offrire un catalogo di bontà ad un pubblico presente e futuro.

Girando per la cittàvirtuale, incontro di tutto, essendo questa un luogo liberamente accessibile, costruito da chiunque per ognicosa. Anche la poesia, lasciata libera di brucare bellezza e verità dalla blogsfera, rischia di crescere stereotipata. Non dobbiamo gridare allo scandalo, come leggo qui e là, navigando; trovo invece in tutto ciò un ennesimo emblema della povertà dei tempi in cui viviamo. Se la poesia che si sente in giro è quella recitata sulla sedia dal bambino ben educato la domenica di Pasqua, quella banalmente intelligente di "Zelig", quella imparata al liceo da un professore pigro, se tutto ciò che vogliamo dalla poesia è che sia un contenitore del nostro magnifico ego, allora è normale che anche la rete pulluli di pesciolini di plastica. Obiettare che in quest'ultima manca una docimologia condivisa sulla qualità dei testi, non ci porta da nessuna parte. Tale evidenza, infatti, è un dato epocale, conseguente alla crisi delle ideologie e al moltiplicarsi dei centri di potere sul territorio; questa condizione semmai, appunto per le due ragioni storiche appena espresse, andrebbe riconosciuta nella sua novità, in quanto finalmente capace di accogliere nella discussione – prima accademica, elitaria o di corporazione – interlocutori altrimenti esclusi o emarginati. Non ultimi i bloggers, il cui background plurale allarga senz'altro, anche se inevitabilmente in chiave pop, la materia del contendere. Fra l'altro, la mancanza di un vertice, di un'oligarchia di comando, sostanzia la natura stessa del web: esso infatti altro non è che un labirintico pullulare di arcipelaghi, spesso indifferenti l'uno l'altro o, alla peggio, in reciproca tensione. La rete è infatti una selva, piuttosto che una società organizzata democraticamente, uno spazio babelico agguerrito, dove la libertà estrema diventa spesso arroganza.

Talvolta capita, tuttavia, che l'arcipelago sia fondato su altro: rispetto reciproco, curiosità di conoscere, amore per la professione, dedizione. Posti così ce ne sono a bizzeffe in rete, in tutti i settori. Chi, malgrado questo, si ostina a buttare il bambino con l'acqua sporca, è un sabotatore o un malizioso. E comunque il bambino, dentro e fuori, continua il suo serio lavoro lo stesso, giocando con il suo lego. Nel mio caso, costruisco via Blanc de ta nuque, dando spazio alle poetiche più diverse, sostenendo non soltanto il merito e i piccoli editori, ma anche i lettori che vogliono capire che cosa accade nella poesia, specialmente italiana. Lo faccio tessendo relazioni, non erigendo steccati; portando il mondo reale nel web, non edificando un mondo virtuale, chiuso al confronto con chicchessia.

Al di là di quanto si legge in giro, dove giornali e accademia si rubano il pane di bocca per sputacchiarlo con maggior livore sulla testa del web, e dunque scavando e mirando di làda questa assiepata masnada, in rete si trova un onesto e talvolta lodevole lavoro. Penso in particolare ai siti poetici cui Poecast ogni giorno attesta l'operato, ai poeti e ai lettori che frequentano Blanc, alle riviste in rete, ai siti dedicati ad un poeta d'antologia. Certo, dopo anni di onorato servizio, credo sia ormai finita la fase di mappatura generalizzata, di ostentata esibizione di creatività; tuttavia, l'autorevolezza per cominciare una selezione ulteriore, che metta in luce alcune linee forti della poesia contemporanea, la si guadagna sul campo, scrivendo critiche autorevoli, anzitutto, e postando poeti su cui ci si gioca la reputazione. Tale scrematura non può essere infatti decisa a priori, né da un cenacolo di mandarini né dall'agenzia bloggers riuniti. Occorre, invece, contemporaneamente al lavoro in rete, tenere vivo il dialogo fra ogni parte del sistema (studiosi, autori e riviste interessante alla discussione), organizzando incontri pubblici in cui si parli non tanto di come vincere la battaglia del virtuale o su chi debba decidere le regole per tutti, bensì di poetica, di politica culturale, del rapporto fra tradizione e avanguardia, fra poesia e scuola, della tecnologia applicata alla divulgazione della poesia. Si producano insomma idee e si materializzino progetti, anziché i soliti lamenti, che dalla rete, occorre dirlo, faticano a dissolversi.



Stefano Gugliemin (1961) vive a Schio (VI), dove lavora come insegnante di lettere. Laureato in filosofia, ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (Quaderni del Gruppo Fara, Bergamo 1985, premio “poesia giovane”), Logoshima (Firenze Libri 1988), Come a beato confine (Book editore, Castelmaggiore 2003, premio Lorenzo Montano per l’edito), La distanza immedicata (Le Voci della Luna 2006) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (Anterem, Verona 2001), e Senza riparo. Poesia e finitezza (La vita felice 2009). Un suo racconto breve è pubblicato su AA.VV., La lente chiara, la lente scura (Empiria, Roma 2002, premio A.M.Ortese). Fitta e interessante è la sua partecipazione a riviste, tra le quali si ricordano: “Atelier”, “YIP. Yale Italian Poetry”, “Il Segnale”, “L’Ulisse”. Cura il blog di poesia “Blanc de ta nuque” http://golfedombre.blogspot.com/