Flavio Ermini, Viaggio attraverso la gioventĂą di Lorenzo Montano

Trascrizione dell'intervento di Flavio Ermini per il Convegno su Lorenzo Montano e il Novecento europeo (6 dicembre 2008) nell'ambito della terza Biennale Anterem di Poesia.



Parliamo di Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano. 

Questo libro è stato edito per la prima volta da Mondadori nel 1923.

Successivamente (nel 1959) l'opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R., con un saggio di Aldo Camerino. Tale saggio viene riproposto ora in occasione della terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una mia riflessione interpretativa.

L'edizione, a cura di Moretti&Vitali, è resa possibile dal sostegno della Biblioteca Civica di Verona. 

Seguirò in questo mio intervento un itinerario, una sorta di "viaggio", tra le parola-chiave che caratterizzano l'opera. 

La prima parola che propongo è: "desiderio". 

Cominciamo con una citazione.

Ascoltate come il protagonista di questo grande romanzo definisce l'adolescenza: un «breve tumulto d'ombre cose passioni, incoerenti», fatte di «notti laboriose, alcune pazze, l'uno e l'altro compagno, qualche viso e corpo di donna, qualche paese scorso di sghembo, e quell'attesa, quell'impazienza incessanti …».  

L'eroe montaniano si avventura sull'itinerario della gioventù senza calcolo; senza padronanza. Ma con la consapevolezza di un vivere che può aprire le porte all'immaginario, al desiderio. 

E proprio a proposito di questo "vivere" Aldo Camerino nella presentazione scrive: «Il romanzo montaniano è il ritratto di un vivere straordinariamente distratto e pieno di voglie».

In questo inoltrarsi nella vita - un inoltrarsi «distratto e pieno di voglie» - tenebra e aurora stanno l'una davanti all'altra, e ognuna ripone nell'altra sempre nuove aspettative.  

La gioventù. Sarà lo stesso eroe montaniano a sancire l'impossibilità di coglierla pienamente - e lo farà con una bellissima definizione: «Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».  

Lorenzo Montano ci fa entrare in una vicenda che nasce come speranza e gioia per incupirsi nella perdita e nella pena, fino a chiudersi con l'ingresso nell'età adulta. 

Qui ogni sorriso non potrà che mutarsi in malinconia.

E non può essere che così - se è vera quella definizione di "gioventù" che prima citavo:

«Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».  

E "gioventù" è proprio la seconda parola-chiave che   voglio segnalare alla vostra attenzione. 

Il romanzo di Lorenzo Montano è un'opera che fa parte di un preciso genere letterario: il "romanzo di formazione"; un genere letterario che ha le sue radici nel Wilhelm Meister di Goethe (1796).

Ma appartiene a questo genere in modo del tutto particolare. Vediamone il perché. 

Nell'Ottocento, intorno al romanzo di formazione si raccoglie una piccola moltitudine di giovani che incarna, con evidente foga, la smania di desiderare. E il desiderio è quello di entrare a far parte - in un modo o nell'altro -  del mondo degli adulti. 

Questo genere conoscerà poi i suoi ultimi capolavori - che ne decreteranno in pari tempo il culmine e il tramonto - con gli inizi del secolo scorso.

Alcuni di questi capolavori sono: i Turbamenti del giovane Törless di Musil (1906), i Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke (1910), America di Kafka (1915), Dedalus di Joyce (1916).  

In queste opere - anticipate da Gioventù di Conrad (1898) e da Tonio Kröger di Thomas Mann (1903) - c'è un dato comune evidente: la saggezza degli adulti non è più un contrappunto costante alle avventure dall'eroe. 

Da qui in poi, pare che gli adulti non abbiano più nulla da insegnare.

Da qui in poi la gioventù comincia - se non a disprezzare la maturità - quanto meno ad autodefinirsi in opposizione a essa. 

La separatezza rispetto all'età adulta diventa la vera compagna di viaggio di questi eroi. 

A differenza di quanto accadeva nel romanzo di formazione dell'Ottocento, questo vivere gravita sempre più lontano dagli adulti e dalla loro società.

Quel disprezzo, quella separatezza emergono da un'osservazione dell'eroe montaniano, quando, seduto a un caffè, osserva i passanti e annota: «le loro facce così sicure di dissimulare la bestia interna, la quale a loro insaputa fa capolino da tutta la fisionomia». 

Insomma, il mondo degli adulti non si configura più come una dimora ospitale.

E dunque il rifiuto di entrare con decisione nell'età adulta sancirà il fallimento, l'impossibilità della "formazione".  

Arriviamo allora alla terza parola-chiave: "smarrimento".

Abbiamo visto che Montano, così come Musil, Kafka, Rilke, Joyce, ereditano la convenzione ottocentesca del romanzo di formazione ma vi apportano significativi cambiamenti.

Non è più la crescita a dare corpo all'inoltramento nella gioventù, prima, e nell'età adulta, poi.

Al contrario: è la ribellione, più o meno esibita. 

Che l'adolescenza stia diventando sempre più narcisistica e regressiva ce lo dirà in modo più radicale nel 1923 (lo stesso anno del Viaggio montaniano) un altro "tardo" romanzo di formazione: Il diavolo in corpo di Radiguet.  

Emerge l'"altro lato" della coscienza adolescenziale: quello "smarrito", e invade le nostre abitudini mentali; rende visibile la precarietà delle nostre regole, la sconnessione del mondo.  

Sulla soglia dell'età adulta, lì dove le cose fluttuano e si mescolano, l'eroe montaniano, indugia, così come iniziano a fare tutti suoi compagni dal Novecento in poi, fino ai nostri giorni.

E si trattiene tra le sicure parentesi della giovinezza. 

In questo romanzo ci troviamo di fronte a due precipizi che delimitano l'inizio e la fine dell'adolescenza. I due quaderni li rappresentano.

In questo senso è estremamente importante il corollario formato da "Introduzione" e "Aggiunta". Questo corollario ha il compito di farci gettare almeno uno sguardo in quella discesa nel Maelstrom che è l'età adulta…  

Da quel gorgo, in una delle sue ultime poesie - poco prima di morire - Montano scriverà: «Adesso invece assidera il mio tocco / la vita, sotto alla mia mano il fiore / di gioventù impietrisce, e si trasmuta / il più dolce dei seni in duro sasso» (1956). 

Quel gorgo racconta la notte, ovvero ciò che rappresenta il mondo adulto per gli esseri umani. 

Davanti a quel gorgo, nella penultima pagina di Dedalus, Stephen insorgerà con una dichiarazione di guerra quasi programmatica contro l'età adulta e la sua febbre possessiva: « … cercherò di esprimermi attraverso qualche maniera di vivere o di fare dell'arte il più liberamente e integralmente possibile, difendendomi con le sole armi cui consento a me stesso di ricorrere: il silenzio, l'esilio, l'astuzia … Benvenuta, oh vita». 

Come non rilevare un parallelismo con l'eroe di Montano? Il quale scrive: «Tutt'a un tratto conobbi che la mia giovinezza era finita … Rimasi attonito allora, ricordo, di trovarmi privato così di colpo di tutta un'età della vita … Mi fermai in una piazza, non sapendo che fare di me … M'era rimasto soltanto un grande smarrimento …» 

Un'altra parola chiave per intendere il romanzo è "l'amore".

L'amore è rappresentato nel romanzo da due figure di donna: Biancanera e Delfina.

La loro presenza consente di leggere l'opera anche come una sorta di educazione sentimentale. 

Si sa: chi si muove nel giardino di Eros è sempre in bilico tra l'indigenza della mancanza e la ricchezza dell'acquisizione. Ce lo ha detto Platone: penuria e risorsa accompagnano costantemente ogni gesto dell'innamorato.  

Questo dipende ovviamente dal fatto che ogni passione amorosa si colloca in uno stato d'insicurezza. Ma Montano ne fa un riflesso dell'adolescenza, dove urge a ogni passo il richiamo alla brevità del tempo di cui possiamo disporre. 

A tale proposito, a me pare addirittura didascalico il Viaggio attraverso la gioventù.

Questo romanzo infatti ci segnala che c'è un grande lavoro da fare nell'educazione all'amore, un sentimento che può dare senso e forma al nostro esserci:

--- contro il troppo caos dell'adolescenza,

--- o il troppo ordine dell'età adulta,

--- o semplicemente contro le tante illusioni che ci accompagnano per tutta la vita.  

Il viaggio attraverso la gioventù nasce per ricordarci la polvere dell'effimero.

Parla a quella parte di noi che cede alla seduzione - una seduzione rappresentata nel romanzo montaniano da «un braccio nudo ... il pallore abbagliante del viso, la bocca pura, le grandi iridi cangianti».  

A questo proposito, l'eroe montaniano davanti a tanta meraviglia, davanti a tanto amore, annota: «... mi pareva di stare affacciato sopra un paese favoloso e strano». 

L'Io è un'altra parola-chiave per intendere il "Viaggio" .

Diciamolo con chiarezza: la "formazione" è destinata a fare i conti, all'inizio del Novecento, con la disgregazione dell'individuo come soggetto e con una nuova, incandescente realtà: l'inconscio. 

Questa chiamata verso l'Io frantumato - e di conseguenza verso l'introspezione e l'autoanalisi - è imperiosa in tutto il tardo romanzo di formazione.

E risulta così evidente nel Viaggio attraverso la gioventù che può indurre ad accostare questa opera a un altro grande romanzo del 1923: Coscienza di Zeno di Italo Svevo. 

Ne abbiamo dimostrazione soprattutto nel primo quaderno, per la forma frammentaria che lo caratterizza, tra schegge di personaggi, atomi di scene, briciole di realtà. "Frammenti" che sono specchio di un continuo soliloquio interiore e di un vibrante processo d'interrogazione. Schegge che provengono direttamente da quel baratro oscuro che il vivere "autorizzato", il vivere adulto, malamente cela.  

Sarà proprio l'avventurarsi del protagonista nelle profondità interiori che renderà evidente la definitiva lacerazione tra l'Io e il mondo.

Cosa che porterà Montano alla decisiva scelta di non dare all'eroe un nome e nemmeno «figura».

A tale proposito nelle ultime righe del romanzo leggeremo: «Questo personaggio ha tralasciato nel suo scritto qualunque indicazione che giovi a dare un'idea del come egli apparisse agli altri …». 

Lo sguardo e l'ignoto: le ultime due parole-chiave.

Come per il Malte di Rilke anche per l'eroe montaniano è necessario «imparare a vedere».

«Imparare a vedere.»

Vi è un modo di configurare il reale che non si appaga dell'intuizione, ma che preferisce porla tra l'emozione e la riflessione.

La sintesi che ne scaturisce è carica di una sua specifica mobilità. 

Viaggio attraverso la gioventù è il romanzo di un saggista. E lo si avverte per come ogni sensazione viene con minuziosità indagata e faticosamente sottratta alle zone interiori, notoriamente poco decifrabili, ma sempre autorevoli.

Accostarsi a queste zone misteriose comporta un movimento che è propriamente il gesto del venire per la seconda volta alla vita. Un gesto che ogni volta mette a soqquadro il mondo. 

Ed ecco allora uno dei grandi risultati di questo romanzo: consentire al nostro sguardo di accedere attraverso più prospettive a questi paesaggi dell'anima e di prendere con essi confidenza.

Dopo aver letto Viaggio attraverso la gioventù, sappiamo che proprio per questo motivo va custodita la memoria delle terre incognite dalle quali si parte, delle terre della gioventù:

--- siano esse caratterizzate dalla "formazione" (come accade nell'Ottocento);

--- o dall'"obiezione" (come si rileva dal Novecento in poi);

--- o siano esse un fenomeno della realtà o dell'illusione...  

Ci si inoltra in queste terre - nelle terre della gioventù, ci dice Lorenzo Montano - per tornare a smarrirsi nell'ignoto.  



Flavio Ermini è direttore di "Anterem". Per la sua biobibliografia vedi "Chi siamo" nel sito.