Sebastiano Aglieco: Nota teorica e poesie edite e inedite

La responsabilità della scrittura


Quando incominciamo a scrivere cerchiamo una voce che ci assomiglia; parole che abbiamo sentito e dalle quali vogliamo ricominciare. Questo è il primo contatto con i maestri, nella vicinanza o nella distanza dai loro scritti e dal loro insegnamento: distanza attraverso i libri, vicinanza nel sogno che ricostruisce e trasforma le parole in altri sogni.

Fare poesia, dunque, è l'atto collettivo del percepire e dell'essere percepiti, del

chiedere e del dare conto; ricompensa o abiura non importa. E' la parola come sacrificio, cioè tramite  del rendere possibile; dell'alzare il velo dell'apparenza che abitiamo.

Se la poesia è, in fondo, un dialogo col Nulla, con la natura deperibile delle parole e delle cose, essa deve prima attraversare l’umanità tutta, non c’è scampo. Forse è in questo attraversamento che si logora e nello stesso tempo si rende necessaria. Da questo punto di vista, dunque, non si scrive per narcisismo - è pura illusione -  ma per attraversarsi. Attraversare il mondo.

Sento sempre di più questa necessità del ricevere attestazione e conferma; scrivere poesie presuppone il gesto della consegna, che è dono nella gratuità, e investe il lettore di un compito. Il lettore è colui che prende visione dei segni incisi, graffiati -  questo vuol dire letteratura nella sua accezione etimologica -  e se ne fa carico. Egli, tradendo il testo, consegna la tradizione del testo; ne permette il passaggio, il giudizio, nei tribunali della Storia. Il testo si fa giudicare. 

La letteratura desidera ritornare a una sua concretezza. Desidera le cose reali, consegnate ai segni, all’immagine astratta dei segni. Questo desiderio non è più, s’intende, materia e carne delle cose, ma il nostos, la nostalgia di un ritorno impossibile. La condizione più naturale della scrittura, dunque, non è la scrivania, il salotto buono, e neanche il computer. La scrittura è ancora atto del graffiare sulla materia sensibile, dello sporcarsi le mani nei segni e disegni incisi nel grande libro dove la foglia è il foglio sono la stessa cosa.

La scrittura  è transeunte: permette il passaggio e non rimane, ma rivive, nell'urgenza del nostro tempo, del nostro essere qui, ora.

Se è vero che ogni cosa, mentre vive contemporaneamente muore, la poesia non si sottrae a questo tragico destino e accetta di essere traccia cancellabile e labile. Ma non può rinunciare alla sua necessità, alla sua ineluttabilità: che non è ricerca di nuovo senso – sempre le foglie, noiosamente, cadono e rinascono –  ma necessità del suo ruolo.

Ecco perché, a un certo punto, non servono più i maestri, non serve più la letteratura. Scrivere poesie è un gesto che improvvisamente ci lascia soli, nudi di fronte alle cose, agli altri, a noi stessi. Davanti al compito del dire senza gioco, inganno, ma con gli occhi puntati addosso.

Ho scritto libri senza necessariamente pensare a questo. Ma per presagio. Poi ho  capito questo  dalla lettura che gli altri hanno fatto dei miei libri. Lettore, ipocrita lettore, fratello.


Da La tua voce, inedito

All’insaputa della notte

quel fumo rappreso sul davanzale

portava i canti delle falene morte

il masso sospeso sulle teste

a ricordargli della fine

il primo villaggio

lo strato più intimo sotto

il taglio del lago.

Tu non conosci la pietra

e il segno di quella mano che

rovina nell’attesa.

Dietro le nostre sere, di

una piazza scolpita nelle parole

scivolata ancora più lontana

acerba nei ricordi dei poeti

- perché non sono mai stato come voi

perché non vi ho mai conosciuti

perché non mi siete mai appartenuti -.

Viscida, schifosa nella luce

mostrata veramente come la cena

della sera, qui, nel cerchio, e

consolato dalla durezza

estraggono a sorte, spaventano una

voce aprendola alla Storia.

Così disse, così rivide quello che

non aveva mai veduto, il ramo del

pianto, secco, l’indurita sentenza dei

poeti, questo sei tu, luce

inappagata, ombra rifranta.


Da Giornata, La Vita felice 2003


Tu non ridere di questo sconforto,

della pazienza persa, dei visi che mi

guardano e se ne vanno. Numi tutelari

hanno tracciato strade verso un silenzio

di ritorno, verso un niente che ritaglia gli occhi.

Non voglio più scrivere poesie;

da queste parole in vedetta

ci sarà il tempo di perdere tutto

il resto, tutto il niente che

non abbiamo ancora visto, tutto il

niente che non abbiamo ancora detto.


*

Terra incominciata, sei apparsa verso

sera in mezzo alle parole ed è finito

il mare. Il viaggio si ritrae per altri

anni, ma ora dobbiamo stare, finire il

lavoro che abbiamo incominciato.

Voglio parole in me, senza la musa

oscura che mi ha generato, senza la luce

dell'angelo. Omettere quell'oscuro presagio:

sulla soglia della casa ti perderai.

*

Esiste un ordine e un tempo,

cerco questo in questo tempo:

macerie all'inizio della Storia

un bambino prima di essere bambino.

Guarda cos'è stato il giorno

nelle ore della pioggia: qualcosa è

accaduto e ci siamo già dimenticati.

Esiste il finire di un luogo

l'imparare a morire come all'inizio.

*

Perdonami, non sono all’altezza,

non so dove andare.

Eppure devi restare

devi sorgere dalle lenzuola

devi  capire, nell’amaranto delle fragole,

il sangue del crocifisso che ci schizzò in faccia,

ricordi? in quella scena dell’infanzia.

Avremmo dovuto distruggerlo per quella nostra

promessa, trapassare i suoi occhi come nei sogni

fondare una parola che dicesse il dolore

che valesse per sempre.

Ma ora  dobbiamo restare

ora che la distanza è netta

ora che ci giudicano e

non accettiamo il giudizio

non vogliamo essere degli altri

come gli altri.

*

Allora qualcuno capisce che tutto è sbagliato

che le parole ci hanno ingannati,

uscendo da una gora

o forse semplicemente volevano dire

che non ci apparteniamo.

Sulla carta  il pensiero è violento

calma simulata

fiato trattenuto per non ingoiare il mondo 

contenuto, è ingannato dalle forme

per dirle ci separa, ci fa scannare.

*

Scrivo nel lampo che il fiore imprime in me

preceduto dal respiro e dalla calligrafia.

Allora  è il vento che mi respira , fratello,

incredulo di un ascolto che a tratti mi governa.

Non c’è più tempo per l’armamentario di

me e della vita mia.

*

NERO SEPPIA

In questo paesaggio

rimangono due mani che vangano la terra

un albero gira ed è tutta la preghiera.

Vorrei essere semplice nel dire

come questo tuo parlare senza colore

l’inizio del segno, o solo la sua conclusione.

Gli uomini sono nel mezzo.

Qualcuno si è allontanato e

ci ha lasciati soli

i poeti rimangono in un cappotto

sono attenti, nella distanza delle mani.

Chi è necessario dice ciò che resta

e non vuole niente.

*


Occhi appena detti nella veglia

liberarsi dall’incanto della neve

delle figure che tornano e pretendono.

Non c’è niente che ci renda felici

non esiste un canto per onorare tutti:

i morti che ci hanno preceduti

i vivi che ci hanno accompagnati.

Chiudere le porte. Ora basta.

Ma i bambini, i bambini in un’aula dove

un mondo è possibile, dove i debiti

saranno rimessi, i bambini che insorgono e

ci chiedono di spiegare il dolore del mondo!

*


Di questo non voglio niente

della casa e del rito degli affetti

delle contese e della storia in un luogo

dove tutti vivono

della chiarezza che pago a peso d’oro.

Costruisco ogni volta un senso coi bambini

li porto a guardare

ciò che saranno e in parte accetteranno:

sciocchezze, riti dello stare e del  perdersi.

Di questo non voglio niente

il mondo si ferma e ride di me

o in un sogno reciproco ci desideriamo.

*


Ora sei il poema di me

vita finalmente libera

sei questo pensiero che ho sognato in segreto

il più debole e puro

che non ho realizzato:

essere prova di sé

nell’inganno del mondo

o nella sua salvezza

nei corpi che chiedono ristoro

nelle menti che desiderano una cosa.

Ma questo non sarà possibile

e niente sarà privo di dolore.

“Qui ingannati si sta bene” *

ma un po’ lontano io resto

in una casa protetta dal contegno

mura coatte, distacco e pavimento

un po’ in voi e un po’ ancora

in questa terra dove  fallire è una vittoria.

*

Ma una parola nuova è solo una promessa

sospetto un inizio senza conclusioni

per lento soffocamento della parola,

una visione che a malapena prende forma.

Né sguardo,  né bellezza

ma solo un vento che cancella e poi ritorna.

*

Io sono felice nell’estate forte

senza respiro

senza visione delle cose

senza il tempo della fatica

che chiede di essere onorata.

Un fermo confine

mostra la separazione

per preparare la preghiera.

Dio della voce ora calmaci

calmaci e custodiscici

dal vero nemico celato nelle parole.

Potenza delle azioni

che liberano e ci salvano:

“non voglio essere amato

voglio amare”.

*

Sei adesso

quello che nessuno dice e non ricordi.

Un baule di poesie sarà lanciato in un  pozzo

verso una luce contraria.

Il viaggio è duro e finisce con un’asta

appartenuti a carne trattenuta

(neanche nostra).

Ci attende un fallimento

e le parole ci bruciano

una mano le sotterra

i versi anelano a una prosa chiara e limpida

ma è ciò che chiamiamo

"lotta dura e persa".

Appartenere: 

solo questo ha senso

solo a questo passaggio senza senso.

*

Io non voglio niente

di tutto questo non voglio niente.

Nella casa l’odore dei gatti e di una cena

distante il cuore, è più forte ciò che preme.

Ma occorre imparare che

sono quello che non credono e non perdonano

sono una mente sotterrata e palpitante.


Da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006

Ma questo sarà detto e

giustificato davanti al tuo dio

nell’incedere del tempo.

Queste parole che consumiamo

saranno pesate e disperate

e daranno tempo per tempo

pezzi di carne per un nuovo universo.

Ci sarà ancora il dolore

ci sarà l’attesa e un forte risentimento

le anime di nuovo dietro tutte le nostre parole.

*

UNA SERA HO PRESO LA BELLEZZA

Ora finalmente ti devo lasciare

devo imparare a dire

da questo distacco della

terra — il sole è giallo.

Nella mia carne ti riconosco e saluto

la bellezza che appassisce, ti

sacrifico le mie ultime parole e

non ti servo.

Muore chi deve morire

uccidimi, se vuoi, nell’ora dei vivi

colpiscimi con forza sul punto più alto

della testa, fallo nella piena luce

senza l’ombra delle parole

rinuncio a qualsiasi salvezza

a qualsiasi perdizione.

*

OLTRE IL GIARDINO

Tutto duro, di qua o di là

da una preghiera tra lo steccato e il

pane — movimento di un muro

crollerà l’universo sulle mie ossa e

rideranno di me questi piccoli capi

asserviti al potere di una scrivania.

Cerca il senso dove c’è stupore, e onore

impara che la morte è promessa

nel destino di tutti gli occhi. E allora

non temere le insegne del potere

e quando ti dicono: rinuncia

scendi a patti, accetta la perdita

dell’innocenza, abiura l’ingenuità

non fare l’offeso

accetta questo mondo o vattene.

*

AVVISAGLIE

Ma tu sei questo, questo soltanto

osso ben piantato nel cuore del mondo

e nella mia testa, nella visione di un mondo.

Accetta il colpire per dovere

- l’essere colpiti per dovere.

Ripeterò nella testa ciò che è taciuto

sotterrerò la pietà dei vivi per necessità.

Fuori: attesa e respiro

il racconto del mondo.

*

TI SARAI SVEGLIATO

Mettersi gli occhiali, guardare bene

per non sprecare le parole.

Ma il male è nelle parole che

vogliono dire il mondo e lo confondono

nelle parole che colmano una voce

sottratta per forza alla sua calma.

Accetta, allora, una breve bellezza

non cercata, sguardo indifferente

nelle cose incustodite.

Custodiscile finché non avranno

timore, indica la strada della loro

disillusione quando le luci, infine, verranno

accese e saremo liberati dal sonno.

*

CITTA’ NOTTURNE

Ti guardo e non parlo.

Era il dolore nei sogni antichi

erano i paesaggi notturni

del mio brancolare senza ali

altezza della fatica

nei pensieri segreti.

Erano città notturne incustodite e

vive, lasciate dagli uomini

assenti, in un altro luogo.

Una luce, questo ricordo

un battesimo di stelle che

chiedono l’ascolto di una voce.

Se scrivo di me, per me, è per tutti

perché non vi conosco, perché non

mi conoscete, come in tutti.

*

PICCOLA TREGUA

I


Ecco, ora hai finito di scrivere, hai ritagliato un

senso, scagionandolo da queste menti

c’è un tempo che sa accoglierci, più mansueto.

Poche immagini per dire ancora: casa

giardino, steccato. O per fermarti

difenderti dalle nuove migrazioni.

Alberi frontali, sentinelle di un cielo

sereno hanno una giustizia per tutti.

Qui siamo al sicuro

il vento di ponente non passerà.


II


Léggere, senza dolore, le immagini degli

alberi, le pietre miliari, le infinite

partizioni. I visi ci precedono nella corsa dei

fiumi — cammino nella campagna, appena

toccato dall’acqua scura.

Parlavi del nulla, delle parole sottratte al

timore delle foglie; guarda, sono calme

dicevi, la tempesta non si alzerà

gli argini sono alti, serrati.