Edgardo Donelli: Cantata profana

Nota critica di Flavio Ermini


In Cantata profana, l’intenzione di Edgardo Donelli è quella di raggiungere il senso degli accadimenti seguendo strade minori e impervie. L’articolazione della frase si fonda su elementi verbali che possono sembrare secondari – in quanto appartenenti alle voci del limite e del confine –, mentre sono precisi attestati di riconoscibilità: «scabra muda», «sterpi e marruche», «corona di gabelle», «fratta», «balcone di botro e sfagno», «vanni»…

Donelli sa scegliere quel punto di osservazione da cui sia possibile posare per un momento lo sguardo sull’essenza delle cose. Un gesto, un atteggiamento, un’ostentazione – forme di un vasto rituale – vengono catturati da Donelli e trasformati in pagine poetiche limpidissime, dense di minuziosità, penetranti come un bulino. Sono pagine ampie, il cui campo semantico non include mai elementi esornativi che possano far deviare la nostra attenzione.

Voci dotte, antiche, poetiche, rare o semplicemente desuete: Donelli bada a conservare nella sua opera la massima concentrazione descrittiva attraverso la massima ricercatezza lessicale. Richiede che il nostro occhio sia divorato dal primo piano. Avviene infatti un fenomeno di appropriazione che assomiglia a una totale immersione da parte del lettore nella pagina poetica.

Ogni pagina è polarizzata da dettagli verbali che secondo il poeta possiedono specifici elementi esplicativi e definitori, ovvero è «consapevole di un fine». Questo minimo appiglio serve a generare la scintilla del senso. Ed è rivelazione, spiraglio di molti suggerimenti, luogo per una verità che preferisce sporgersi sul «disperso verziere» del quotidiano piuttosto che affacciarsi ai grandi balconi dell’essere.

È palese in queste pagine la vocazione a una ricerca di tipo proustiano. Nella quale la passione e l’idolatria per quegli indizi che escono dalle pieghe di una comune parvenza, dal «minuto raggio … mattutino» e dal riecheggiare di una vicenda «al primo annuncio del vento», inducono a pensare che i veri portatori dell’identificazione siano il collaterale, l’adombrato, l’inevidente.

Donelli ci fa comprendere efficacemente che solo i dati fuggevoli, liminari sanno avvicinarci alla scoperta di acute risposte a molte delle domande che andiamo formulando nel maturare della nostra esperienza.

 

Testi poetici

 

I.

Nel giorno che primi i colori
senza veli sboccino al blu notte,
dalle imposte quel poco socchiuse
voce di altro sentire al mare
di case reciti comando
cui non trasgredire, un la
unisono d’avemaria, ironica
orchestra punteggi il dialogo
a due lungo i banchi d’uso
in avvento; un cielo
senza gioia a minuscole biche
riparo, le devozioni lascito
gentile: il libro da messa

qualche santino, le monete
di quei viaggi, cingolo di un credo
innato al soffrire. Da finestre
letti mai vuoti per turni di pietà
grigio tepore remoto l’oggi,
altri di casa ala dolente
rintocco la nera ombra
sollievo la pur breve visita.

Guai alla stagione sola,
i giorni alterni il soffio
modifichi il presente
la rotta il sole a picco,
lettere a caso la creatura
cosmica bizzarria, a volte
pericope di non facile
traduzione; non tema
la notte di libeccio lo spirare
dimentico il patto
cedimento il respiro, da poco
mantello la tenebra
accenni la storia curiosa

l’ospite. Un credito di sterpi
e ceppaie, nota passione
lungo l’argine incolto
sveli un possesso geloso
vuoto dominio al vento.

 

Edgardo Donelli (1937) vive a Milano. Ha pubblicato: Dictamen (Scheiwiller, 1970), Athema (Scheiwiller, 1979), Fogli di Stanze e Bagatelle (Anterem, 2003).