Giacomo Rossi Precerutti, da “Salvezza degli indugi”, Edizioni Ensemble, 2015, nota di Davide Campi

C’è grande sapere formale nella poesia di Giacomo Rossi Precerutti: lo dicono la regolarità del verso, il minuzioso controllo del ritmo, la sintassi essenziale e il lessico raffinato.

Queste caratteristiche permettono di far emergere chiaramente il disincanto diffuso che si respira nel testo, attraverso parole dense, evocative, combinate in modo serrato.

La perizia nella costruzione del verso, la lineare musicalità di questo, fanno da contraltare allo sgretolamento del senso, agli spaesamenti cui il vivere induce.

Non si parla di lievi increspature di superficie o di piccoli disordini quotidiani portati alla luce, ma di abissi e voragini, tumulti di un respiro più ampio contenuti in “ogni mondo remoto”.

 

III.

Il tepore opaco dell’estate

filtra dalle bocche tese

della città, dalle mani pesanti

che straziano il suolo informe.

Naufraghi sulle stanche vie,

dimenticati i nomi e le forme,

soltanto il suono dei venti

ci soccorre, fragoroso.

 

Affrettiamoci ad aprire le maglie

sfregiate del pensiero, a zittire

il silenzio che odia ogni

bellezza; non è sbarrata

questa pagina, questa oscura

natura dei luoghi mortali.

La salvezza degli indugi

si spalanca, controluce.

 


 

Giacomo Rossi Precerutti è nato a Torino nel 1988. Ha pubblicato presso Crocetti la plaquette Fuoco d’assenza (2006) e la silloge Sono io, quell’ombra (2010). Finalista con un inedito alla XXI edizione del “Montano”, è presente nelle antologie edite da Torino Poesia.