Francesco Bellomi, scrivere musica per il Premio “Montano”. Immagine di Marina Busoni, Forum Anterem 2016

 

«parlare di musica è come ballare di architettura»


(frase attribuita a Frank Zappa
o a Elvis Costello o a Martin Mull)

 

Si, effettivamente, spiegare la musica usando le parole è piuttosto complicato e spesso totalmente inutile e fuorviante, specie quando a farlo sono proprio i musicisti.

I critici se la cavano molto meglio, anche se barano tutti alla grande fingendo di capirci qualcosa.

Gli scienziati sono quelli che si avvicinano di più alla sostanza dei fatti musicali, forse perché il lavoro scientifico utilizza alla fin fine gli stessi identici mezzi e procedimenti del lavoro artistico: è un lavoro creativo esattamente come l’arte, la danza, la musica, la poesia, ecc.

Detto questo ci sono validi ripieghi: parlare del contesto storico, delle strutture musicali, delle forme, dei trucchi del mestiere, e così via. Ma alla fin fine, in qualunque modo la si metta, si finisce per raccontare una storia. In fondo anche le leggi fisiche o i teoremi matematici raccontano delle storie: le raccontano con formule numeri ed equazioni, ma sono storie. Una legge fisica che tutti conoscono racconta che se metti dell’acqua in una pentola sul fuoco, dopo un po’ comincia a bollire. Poi arriva uno più bravo a raccontare le storie della fisica, o che ha strumenti più precisi di misurazione, e dice: «L’acqua bolle a 100°». Ma si può raccontarla anche meglio di così. Ad es. «L’acqua bolle a 100° a livello del mare» o, ancora più pignolo: «L’acqua bolle a 100° se è pura (distillata) e se la pressione atmosferica è di 1 atm.»

 

La proprietà transitiva degli insiemi: «se A = B e B = C, allora A = C» è un’altra storia di queste.

Per i musicisti le storie tipo sono: “Tema di 8 battute, composto di due semifrasi positive di 4 battute. Tonalità di Fa# minore, con modulazione alla dominate alla fine della prima semifrase (batt. 4) e ritorno alla tonica nelle battute 7 e 8. Struttura melodica ad arco con punto culminante tra batt. 6 e 7 (sezione aurea), e armonie così distribuite: | I | IV - II | V IV# | V6/4 - V 3/5 | ecc.»

Ci sono “storie” sulla musica che sono molto peggio di così, lunghe anche centinaia di pagine e che sono una lettura veramente irrinunciabile prima di andare a dormire.

 

L’idea di vivisezionare la mia musica con questi raffinati strumenti di tortura mi rivolta semplicemente le budella, quindi racconterò si una storia, ma non quella, forse impossibile da dire, di come é la musica. Racconterò invece come io, partendo dai testi dei poeti vincitori del Premio Montano, cerco e trovo le procedure per scrivere i miei pezzi. Come se, invece di portare una bella torta (o almeno i suoi ingredienti), io mi presentassi ad un invito a cena con la sua ricetta: buon appetito!

 

VIVIANA SCARINCI - AMANDA FIORE O TARTARUGA - PREMIO MONTANO 2016

 

Nelle 24 righe del testo che ho avuto a disposizione ho sottolineato subito la frase finale: «quella carezza che ti fa orrore». Questo ossimoro è stata per me la chiave di tutti gli ossimori e le contrapposizioni precedenti. Quello che ha innescato il mio procedimento di invenzione.

Ora, in questo testo come in tutti gli altri, c’è ben di più di un ossimoro o simili, ma io avevo bisogno di una chiave di lettura abbastanza astratta da poter essere trasposta in musica e abbastanza semplice da essere comprensibile a chi ascolta la musica. In pratica ho immaginato che questa contrapposizione potesse essere il filo rosso che tiene insieme le centinaia di altre cose che l’analisi di questo testo può rivelare e ho provato a scrivere una musica infarcita di “carezze” e di “orrore”. A cominciare dai materiali di base. Si può mimare musicalmente una carezza in molti modi (e ho provato a usarne qualcuno di quelli usabili sulla tastiera di un pianoforte) ma io non volevo fare il Pierino e il lupo del premio Montano (con i suoi temini-personaggi da asilo infantile: “senti? il tema cullante della carezza? adesso arriva il cluster dell’orrore...”). Io volevo che l’ossimoro “carezza-orrore” fosse strutturale, fosse scritto nel DNA del pezzo.

Così sono partito da un materiale, una scelta di altezze, che potesse già di per se suggerire l’ambiguità di questa orrenda carezza. Il materiale migliore che ho trovato è un accordo ben conosciuto dai musicisti: la triade aumentata o eccedente. Un accordo accuratamente classificato ed etichettato in tutti i manuali di armonia, ma che musicisti come Debussy, Berg (Sonata op.1) e Scriabine hanno usato in modo intensivo e magistrale.

Questo accordo si porta dentro tutta una serie di ambiguità:

- è dissonate (poco) ma è costruito con due intervalli consonanti (due terze maggiori);

- può appartenere a varie tonalità e quindi risolvere in molto modi, basta cambiare il modo con cui si scrivono i suoi suoni (enarmonia);

- mettendo in fila almeno tre triadi aumentate si ottiene una scala “esatonale” o “di Debussy” che ha la singolare caratteristica, essendo composta solo di intervalli di tono, di non avere delle tensioni orientate verso qualche nota di risoluzione della tensione; come succede in tutte le scale tonali che si adoperano nel 97% della musica che ascoltiamo. Nella scale esatonale la tensione è bassa e diffusa, come una nebbia impalpabile e priva di punti di appoggio; non a caso Debussy adorava questa scala.

La triae aumentata è un accordo dolce e morbido come una carezza ma appena lo adoperi per più di due secondi diventa (se non sei un genio come Debussy) veramente nauseante e insopportabile.

Così ho messo sulla mia tavolozza un insieme di altezze (un “impasto”, una scala, un arpeggio, insomma chiamatelo come che vi pare) che contiene questo accordo. Per gli amici possiamo chiamarlo insieme x:

L’insieme y è dato invece da tutte le altre altezze (fra le 12 che usiamo in occidente) che non appartengono all’insieme x.

La somma; x + y = z

dove z è l’insieme di tutte le altezze possibili nel nostro sistema musicale e sulla tastiera di un pianoforte (se è accordato correttamente, cosa che non succede quasi mai, ma questo è un’altra storia).

Il brano oscilla continuamente fra questi due insiemi che costituiscono i due poli di attrazione di tutto il materiale melodico e armonico. In pratica: dopo un po’ di tempo che si lavora con l’insieme x l’ascoltatore comincia a sentire il bisogno di qualcosa, non sa bene cosa, una specie di cambiamento, ma non sa bene quale cambiamento. Cambiamenti di ritmo, di intensità, di testura sono solo palliativi, e servono solo a tirarla in lunga ancora un po’ (prolungamento nell’analisi Schenkeriana) ma alla fine, il desiderio di un cambiamento di “tavolozza armonica” è così forte che non c’è acrobazia che tenga: bisogna cambiare le altezze adoperate altrimenti l’ascoltatore “esplode” o, meno clamorosamente, distoglie l’attenzione.

Nel mondo modale e tonale questa tecnica era chiamata modulazione ed è basata su uno dei meccanismi percettivi più forti (e forse innati) del nostro efficientissimo orecchio tonale.

Nel brano ho poi utilizzato gesti strumentali tipici della morbidezza: sonorità tenui, una certa lentezza, indugio su formule ritmico melodiche ripetitive, arpeggi, pedali, ecc.

Il pezzo finisce con tre accordi: l’insieme x, l’insieme y, e l’insieme z. Una sorta di cadenza riepilogativa di tutta la storia e, casualmente, l’ultimo accordo, l’insieme z, composto di tutte e 12 le altezze di un’ottava del pianoforte può essere suonato solo come un doppio cluster (tasti bianchi + tasti neri) mettendo le mani distese trasversalmente come per accarezzare la tastiera: è l’ultima orribile carezza del pezzo.

 

MICHELE CAPPETTA ROVESCIO - PREMIO MONTANO 2016

 

La prima idea, ovviamente, è stata quella di scrivere un pezzo al contrario.

Precedenti illustri non mancano nella musica: l’operina Andata e ritorno di Paul Hindemith, dove a metà del percorso narrativo comincia il viaggio di ritorno e la musica “torna indietro”; il famoso brano medievale Sumer is icomen in dove alcune parti musicali sono “cancrizanti” si possono cioè leggere da sinistra a desta o viceversa: in pratica il palindromo applicato alla musica;

i ritmi “non retrogradabili” di Olivier Messiaen: ancora una volta dei palindromi ritmici;

La musica suonata al contrario, suona molto diversa, e da questa osservazione nasce la celebre storiella di quel dilettante che, pur di scrivere una sinfonia senza averne le capacità, ricopiò al contrario una sinfonia del poco noto compositore A.S. capendo, solo al momento della prima prova, che in realtà aveva così riscritto interamente la quinta sinfonia di Beethoven. Se qualcuno vi ha preceduto nel copiare al contrario, siete fregati.

Ma il testo di Cappetta non è un semplice procedimento retrogrado: se voi provate a leggere il testo frase per frase dalla fine all’inizio, vi accorgete subito che qualcosa non funziona. Il testo di Cappetta è una storia che “torna indietro” ma non è il rovescio di niente. Come fare?

Il concerto per due pianoforti soli di Stravinsky ha la soluzione: c’è un tema con variazioni. Solitamente nei temi con variazioni si fa sentire il tema all’inizio e poi, variazione dopo variazione, ci si allontana progressivamente dal tema arricchendolo, deformandolo, trasformandolo, ecc. Stravinsky fa esattamente il contrario, ed è l’unico caso noto nella storia della musica: parte dall’ultima variazione, quella più lontana dal tema e, variazione dopo variazione, si avvicina al tema spogliandolo progressivamente di tutti i fronzoli e gli ornamenti. Alla fine appare il tema. Nudo. Un vero e proprio striptease sonoro.

Quindi la struttura del mio pezzo è: variazione 4, variazione 3, variazione 2, variazione 1, tema.

Il tema, il lapidario «L’inchiostro è nero» finale, dal quale nasce tutto, è costituito nel mio brano da due semplici accordi formati dall’ insieme x e dall’insieme y. Disposti però ritmicamente in modo non retrogradabile (palindromo).

Questi due insiemi hanno una nota in comune; il re che è una sorta di ponte o legame tra uno e l’altro. Nel gergo insiemistico questo re sarebbe chiamato l’insieme intersezione fra x e y.

La somma di x + y quindi non è z ma un insieme z mancante di un suono (il fa) = z (-1).

Questo suono “fantasma” (il fa) appare di tanto in tanto nel brano, ma non a caso: la sua fugace apparizione segnala la fine di una variazione e il passaggio a quella successiva. E’ come il sospetto di qualcosa che non arriva mai a concretizzarsi ma che con il suo punto di domanda e la sua mancanza apparente di motivazione spinge in avanti la nostra curiosità.

Fino alla terribile frase finale («L’inchiostro è nero») che di per se non ha niente di terribile ma diventa terribile quando si capisce che è stata l’origine di tutta la storia precedente. Questi due accordi e il ritmo con il quale vengono suonati sono per questo quanto di più amorfo e neutro si possa fare in musica. Suonati da soli non dicono praticamente nulla di interessante: sono la cruda essenzialità del tema finale.

 

PIERA OPPEZZO - VIVENTE STENDE LA MAPPA - PREMIO MONTANO 2016

 

Il dato strutturale che mi ha colpito subito nella poesia di Piera Oppezzo è la presenza in un certo modo ossessiva di “vivente” quasi in ogni quartina della poesia.

E’ come un maniacale ritorno al punto base, al perno della narrazione, al punto di partenza. Attorno le situazioni cambiano ma noi siamo come prigionieri nel cranio di vivente e assistiamo alle sua azioni e al mutare della scena senza mai cambiare punto di vista.

In musica esiste una forma perfetta per raccontare questo: la Passacaglia, ovvero Ciaccona, ovvero Ground (in Inghilterra).

Un tema si ripete in modo sempre uguale e ossessivo mentre attorno a lui si sviluppa ogni sorta di variazione. I musicisti barocchi erano in genere così abili nell’arte della variazione che riuscivano a “distrarre” l’ascoltatore dalla ripetizione ossessiva del tema facendogli sopportare questa ripetizione continua. Per fare questo usavano dei temi di passacaglia molto semplici e banali e poi si buttavano a capofitto nelle ricchissime variazioni.

Brahms, nel finale della quarta sinfonia, riesce a spingere questo procedimento così a fondo che nessuno, al primo ascolto, si accorge che è una passacaglia. Solo dopo averlo fatto notare ci si rende conto di questa ripetizione ossessiva ma “sotterranea”. Stessa cosa nel brano per organo Le jardin suspendu di Jehan Alain.

Ma esiste un altro modo di usare la passacaglia: quello che si può sentire nelle innumerevoli Ciaccone, bassi ostinati, Ground di Henry Purcel (1658?-1695). In Purcel prevale l’attrazione magnetica e ipnotica per la ripetizione poco mascherata, quasi esplicita, che funziona come un gorgo da quale non si riesce più ad uscire.

Ho usato questo secondo procedimento per raccontare l’onnipresenza di “Vivente” e quindi il tema che ho scelto è molto ben caratterizzato e riconoscibile, privo di respiri e quasi ansioso, e la sua ossessiva ripetizione finisce a poco a poco per fagocitare tutto il resto: non si può che continuare a ripeterlo fino allo sfinimento.

LUIGI SEVERI - SINOPIA - PREMIO MONTANO 2016

 

Per Sinopia di Luigi Severi ho saputo subito cosa volevo: volevo un colore solo, quell’unico colore con il quale sono dipinte le sinopie: Terra di Siena per gli antichi maestri frescanti ma anche una meravigliosa Terra di Sardegna per la sinopia di 240 mq che mio padre dipinse nella chiesa di Lugagnano, dal 1990 al 2005, e che si trova ora sotto lo strato della successiva pittura a tempera di caseina lattica intitolata Arbor Redemptionis. (Ma molte foto della sinopia, oggi non più visibile, si possono vedere al seguente link: https://get.google.com/u/0/albumarchive/113329101060291120240

Con quest’unico colore volevo, come fa Luigi Severi, raccontare il mondo.

Quindi ho utilizzato un unico insieme di altezze;

e su questo ho costruito tutto il brano evitando il più possibile di uscire da questo monocromo.

L’insieme y ovvero l’insieme non x

non viene mai utilizzato nel corso del brano e questo si trasforma in un tono costante che, pur oscillando fra caratteri diversi, mantiene una colorazione tendenzialmente cupa.

L’insieme y appare solo alla fine del brano, come una nuvola di suoni armonici in dissolvenza, come a ricordare che esisterebbe un altro mondo e un altro modo, complementare e speculare, di raccontare le stesse cose.

I temi musicali che attraversano il brano suonano come frammenti visti attraverso un unico filtro, un unico codice coloristico, un’unica tonalità di fondo. Una sorta di viaggio per il mondo con occhiali color sinopia.

Questo testo, così infarcito di termini tecnici dell’affresco, non poteva non sedurre il figlio di un frescante. Soprattutto quando è forte la consapevolezza che assai spesso le sinopie sono molto più belle, riuscite e stupefacenti dell’opera finita.