Marco Zulberti, ricordo di Franco Brioschi

Un anno fa, il 15 febbraio, scompariva improvvisamente il Prof. Franco Brioschi, docente di Critica e Teoria della letteratura all’Università degli Studi di Milano e autore di saggi come la Poesia senza nome (1978), La mappa dell’impero (1983), Un mondo d’ individui (1999) e la Critica della ragion Poetica (2002) destinati a segnare una svolta nello studio della poesia e della letteratura italiana.

Laureatosi nel 1970 sotto la guida del Prof. Gaetano Trombatore e Vittorio Spinazzola, fin dagli esordi i suoi studi si orientarono verso la poesia intesa come modo d’essere "finzione" in letteratura, e "funzione", nel linguaggio. Dopo aver dedicato i suoi primi interessi a poeti come Vittorio Sereni, che giovane studente va a trovare con un registratore a nastro Geloso e con cui poi condividerà la direzione della collana “Le Silerchie” per il Saggiatore di Alberto Mondadori, e a maestri della critica come Giacomo Debenedetti, le cui lezioni intorno al romanzo pone sempre al centro dei suoi corsi universitari, i suoi interessi s’indirizzano all’opera di Giacomo Leopardi con cui esordì nel 1972 con il saggio Politica e metafisica nel Leopardi.

A cavallo degli anni Settanta in cui la semiotica vive la sua stagione più intensa, Brioschi affronta la doppia crisi di strutturalismo e decostruzionismo - segnalata in quegl’anni dallo stesso Roland Barthes in Critica e Verità (1966) e nell’Impero dei segni (1970) - ispirandosi alla ricerca “anti-platonica” dello statunitense Nelson Godmann (amico e collega di Quine), di cui traduce I linguaggi dell’arte (1976).

Lentamente in Brioschi prende coscienza un metodo che si può definire “militante”, in quanto collocando il critico in una posizione intermedia tra autore e lettore, lo responsabilizza nel compiere la sua funzione, la cui azione consiste essenzialmente in due momenti: il primo dove si deve “spiegare”, tramite una «explicatio verborum, una spiegazione della parola» il significato dell’opera, mediante il “commento ragionato”; il secondo invece risale lungo le scie tracciare dalla spiegazione cercando di rispondere alla domanda “dove nasce?”. Su questi indirizzi era nata la mia ricerca come allievo sull’intera opera saggistica di Mario Luzi, poi pubblicata su «Acme» come Un’arte umana (1996) e in Prima Semina (Mursia 1999).

Compito scientifico del critico appare quindi quello di “spiegare” l’opera svelando anche come, dove e perché, questa si è generata fino ad assunere in quelle forme particolari. Da qui gli interessi per l’educazione estetica e lo stile, che non è da considerare come un dono naturale come ricordava in una recente conferenza al Liceo Parini nel 2002: «Leopardi individua una delle svolte fondamentali dell’estetica moderna: le leggi dell’arte non sono iscritte dalla natura. Sono artificio, sono fondate sull’abitudine, sull’esercizio, sull’assuefazione, e come tali possono essere modificate e cambiate.» Le attenzioni allo stile impongono così un recupero dell’esperienza dell’autore, del suo milieau, del suo gusto, prospettiva psicologica e linguistica, abbandonata nello strutturalismo più orientato a concepire l’autonomia dell’opera letteraria.

In questa direzione nei suoi numerosi saggi dedicati a Leopardi torna ad avere un ruolo, il concreto della sua vita biografica, con i suoi interessi per la poesia romantica, le letture degli illuministi come Schiller, Condillac, e i suoi rapporti umani con Pietro Giordani e l’editore Stella. L’opera poetica è intesa come risultato di una complessità individualmente vissuta, in cui la logica possiede un valore personale, e non diviene “astratta” nell’analisi strutturalista o “negata” come dal decostruzionismo. E “segno” di questa rivalutazione dell’elemento individuale, fu la stessa riedizione dell’Epistolario curata da Brioschi insieme alla propria compagna Patrizia Landi per Bollati Boringhieri nel 1999.

Sulla scia del Roland Barthes morale, in cui avviene un  recupero della “vita” del simbolo e quindi dell’opera letteraria, il metodo di Brioschi, anticipato nell’introduzione alla Mappa dell’impero (1983), si precisa nel suo saggio più teorico Continuo, discreto, denso, articolato; il simbolo come unità sintattica (1995), dove l’impasse in cui era caduta la critica letteraria negli anni Settanta,viene  superata tracciando un nuovo percorso sulla scia dell’anti-platonismo di Godmann. In questo saggio Brioschi immagina come il critico quando costruisce la sua “spiegazione” deve necessariamente affidarsi ad un codice, i cui simboli debbono essere “articolati” tra loro in modo da inglobare il significato originale, senza traboccare negli estremi del “denso” e del “continuo”, che identifica con strutturalismo e decostruzionismo. L’atto della “spiegazione critica” si deve preoccupare che la tavola semantica del codice sia in grado di “mappare” il senso, più profondo e individuale. Nel caso di codici in cui lo scarto tra simbolo e significato è “continuo” come nel caso della pittura, o “denso”, nel caso del linguaggio, si determina una sorta di errore di quantizzazione, di scarto, che impedisce e blocca l’azione responsabile del critico che è quello di “spiegare” l’opera. Il critico, per questo imperativo categorico morale militante, non può rinunciare alla “spiegazione”, non può rinunciare al commento, alla comprensione, come invece capita negli eccessi dello strutturalismo e del decostruzionsimo. Il dover “commentare” richiede l’uso da parte della critica, di linguaggi in grado quindi di articolare i significati rendendoli evidenti, comprensibili.

Per fare questo  si deve necessariamente affidare ad un sistema “articolato” di segni, con cui “misurare”, mappare il significato dell’opera letteraria. Nel saggio Brioschi scrive: «Finché questi segni, questi stereotipi, archetipi continuano ad essere concepiti, come entità indipendenti, di qui alla dottrina della Parola per Parla non mi riesce di vedere una così grande distanza: né il cammino seguito in proposito da Derrida mi sembra così estraneo alla tradizione linguistica e semiotica da cui un tempo aveva preso le mosse. Ontologizzazione del linguaggio, derealizzazione del mondo. Il nesso accomuna ortodossia strutturalista ed eresia post-strutturalista più di quanto non vorrebbero farci credere i reciproci anatemi. […] Per il decostruzionista nessuna interpretazione è più vera, o meno vera, di qualsiasi altra. […] La professione sottoscritta dal decostruzionista è in realtà la stessa di Guglielmo di Baskerville. Io credo nei segni.» Il dovere del critico, secondo Brioschi, è quindi quello di “spiegare” distanziandosi sia dalla «aseità ontologica» del decostruzionista che dalla contemplazione totemica del simbolo.

Una risposta nel metodo di Brioschi a quest’esigenza di coniugare mission e risultati della semiotica, si ritrova nel recente simpatico saggio Come non sono diventato un semiologo (2002) dove Brioschi rievoca l’episodio in cui Umberto Eco, dopo un convegno in un ristorante a Siena durante la cena affermò: «Stasera ci mettiamo d’impegno e convertiamo il Brioschi alla semiotica», tentativo poi andato a vuoto, a causa di una continua richiesta d’autografi da parte di ammiratori, ma che avrebbe trovato qualche ostacolo nelle motivate convinzioni di Brioschi.

La prospettiva “articolata” basata sul criterio di convenzione dell’approccio con cui Brioschi supera la crisi della critica, si può osservare nel confronto fra il parallelo sviluppo della sua teoria letteraria che prende forma in saggi come Elementi di Teoria Letteraria (1984) e La ragione Critica (1986) e Un mondo d’individui (1999) e i numerosi saggi e studi dedicati soprattutto a Leopardi.

L’orizzonte dentro cui Brioschi colloca l’opera poetica del poeta di Recanati rimane fedelmente quello decritto già nell’introduzione alla Poesia senza nome nel 1980: «Leopardi avvia la più profonda rivoluzione lirica del nostro primo Ottocento.[…] Il classicismo del Leopardi è una sorta di classicismo sperimentale», dove i termini classicismo e rivoluzione sono strettamente collegati. L’interesse estetico di Brioschi per “Giacomino”, come la chiamava familiarmente, conduce quindi alle origini di quella rivoluzione stilistica e formale operata sulla struttura della canzone petrarchesca ispirata dal rinnovamento culturale avvenuto in pieno Settecento del concetto di Natura con la comparsa della poesia sentimentale. Ed è proprio questa metamorfosi viene “spiegata” con la volontà di Leopardi di voler superare le abitudini, le convezioni, e di raggiungere con queste nuove forme, non solo la tradizionale «repubblica delle lettere», ma anche «quell’italiano assai colto ma non avvezzo a leggere poesie».

Brioschi svela quindi l’incompletezza, la convenzione, l’artificio e quindi l’irrealtà di ogni sistema di espressione rispetto alla realtà di ogni vissuto individuale, rispetto al senso intimo presente nel mondo di ogni individuo. La centralità di una letteratura concepita per stili individuali, lo condurrà, dopo essere diventato consulente di Giulio Bollati per la nascente casa editrice, a dirigere il Manuale della Letteratura Italiana uscito in quattro volumi tra il 1993 ed il 1996.

Ad un anno dalla sua improvvisa morte e in attesa di veder ripubblicati alcuni suoi saggi (sono in preparazione a cura di Patrizia Landi sia La mappa dell’impero che La poesia senza nome) questo ricordo vuol essere un invito ad avvicinarsi a quanti come Brioschi hanno fatto dello studio della poesia e della letteratura un fine morale basato sulla responsabilità dell’intellettuale nei confronti della società.

Marco Zulberti

 

Un ricordo di Franco Brioschi ad un anno dalla morteUn ricordo di Franco Brioschi ad un anno dalla morte

Marco Zulberti (Trento 1961) si è laureato in Lettere presso l’Università Statale di Milano con una tesi dedicata all’opera saggistica di Mario Luzi. Al poeta fiorentino ha poi dedicato saggi come Un’arte umana. I saggi critici di Mario Luzi («ACME» - Milano 1996), Vita e poesia in Mario Luzi in La vita irrimediabile (Alinea - Firenze 1996) e Prima Semina (Mursia - Milano 1999). Ha pubblicato articoli di carattere letterario, storico e artistico su riviste quali “Passato Presente”, “Judicaria” e “Uomo Città e Territorio”. Autore di profili su Bertolucci, Pavese e Pasolini ha appena terminato un saggio sul sublime in Leopardi e sta lavorando ad una ricostruzione storica sull’ermetismo fiorentino. Al suo attivo anche una serie di raccolte di poesia tra cui Vivere nel buio (1992). Vive e lavora a Milano.