Liceo “Fracastoro” di Verona, prof. Donatella Regazzo

Di Alessandro Adda e Ilaria Miglioranzi, 5^ F
Quando la morale incontra la scienza

Leggendo le poesie di Giorgio Celli, abbiamo avuto l’impressione di sederci spettatori di fronte allo spettacolo maestoso della vita. Ci parla con metafore sceniche, con un linguaggio tecnico ma fortemente emozionale, ci fa gioire con la natura e soffrire con lei.

La lode al DNA ci ha esaltati aprendo innanzi al nostro sguardo un sipario sul mondo in evoluzione, una coordinazione quanto mai armoniosa tra la scienza e le attività vitali dell’universo, in quanto è il DNA stesso, eterna guida degli eventi, a condurre tutto verso il suo destino.

E così l’uomo si sente debitore nei suoi confronti, sente che tutto ciò che gli sta intorno non è nato per caso, ma è da ricondurre inevitabilmente allo stesso eterno principio, lo stesso che, dice Celli, “ha piantato nei mitocondri d’Eva il seme di senape della nostra umanità”.

L’impressione che abbiamo ricevuto ci ha ricordato la ciclicità dell’esistenza, il dinamismo della natura nel suo perenne dualismo: da un lato, amica e “madre”, dall’altro impetuosa e vendicatrice, come l’acqua, elemento che troviamo nel creato, nel nostro interno così come all’esterno, forza vitale che circola nel nostro organismo e dinamica quando precipita nelle cascate mostrando tutta la sua potenza.

La poetica di Celli coordina armoniosamente natura, filosofia, scienza, matematica, come parti inscindibili di uno stesso sistema grandioso, geniale, ma esprime contemporaneamente la preoccupazione per il destino del mondo, manipolato indebitamente dall’uomo “senza ragione”, dai “servi dell’atomo”, e l’abbiamo apprezzata per l’immediatezza delle immagini che propone e per le sensazioni che trasmette, da cui traspare la volontà di fornire un quadro intenso del mondo fisico rapportato con l’uomo, con l’animale, con l’elemento, come parti di un insieme “vivo” che è la Terra.

 

Di Alessio Graldi, 4^ H
Giorgio Celli, irriverente demiurgo

Nuova “collana di perle” la raccolta “Percorsi” di Giorgio Celli, in cui l’indiscussa bravura di questo scienziato-artista crea una poesia concettualmente legata ad un mondo naturalistico, tuttavia formalmente amalgamata con espressioni e modalità della poesia classica e contemporanea.

Celli, docente all’Istituto di Entomologia “Guido Grandi”, presso l’università di Bologna, svolge da molti anni, oltre ad una carriera politica di elevato spessore (egli è infatti parlamentare europeo dal 1999) anche una brillante attività scientifica, con notevoli partecipazioni in gruppi e ricerche ambientaliste. Svolge inoltre anche un intenso e significativo lavoro letterario, correlato ad ambiti naturalistici e di grande interesse sociale. Vale la pena ricordare la sua partecipazione per cinque anni al Gruppo 63’, e il suo nutrito curricolo che annovera un premio Luigi Pirandello nel 1975 con l’opera “Le tentazioni del professor Faust” e diverse messe in scena delle sue piecè teatrali al Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Nei suoi “Percorsi”, noi giovani riconosciamo il linguaggio della nostra epoca, la nostra esperienza quotidiana.

Giorgio Celli, è per noi un“irriverente Demiurgo” perché capace di plasmare una materia arida e spigolosa come la scienza, abile nel fondere, con precipua originalità, elementi di due materie differenti, sia in composizioni poetiche sia nella vita di tutti i giorni;

Giorgio Celli, è per noi un “mirabile alchimista” perché coniuga una matrice oggettiva, quasi di stampo naturalista, con una rivelazione poetica di elevato spessore.

Ci è piaciuta tanto questa raccolta di poesie che trasmette la passione del poeta per il mondo in cui vive, un mondo teso al progresso, ma strettamente legato alla sua natura madre.

 

L’immenso infinito fra le sudate carte
Una riflessione sui testi di Gilberto Isella
Di Roshan Youssefian, 4^ H

La musica è arte. La pittura è arte. La poesia è arte.

Ecco, proprio la poesia, finestra di emozioni e pozzo di sentimenti, arte senza inizio e senza fine. Una espressione che permette al lettore non solo di poter concepire le potenti folate di pensiero che essa trasmette, ma anche di aggrapparsi a mondi e concetti sovrasensibili e ultraterreni.

L’arte è indubbiamente una scala che porta al cielo, ma come possiamo compiere questo cammino, salire scalino per scalino, senza che in questa arte non ci sia una vera sensazione spirituale? Continuiamo a ripeterlo: “Ma in che mondo stiamo vivendo?”, “Non ci sono più valori”, “La gente non si eleva più da discorsi inutili”. Eppure c’è chi ci prova:

In una vetrina di psicofarmaci

svolazzano tafani e mosche,

giunti lì per cunicoli a essi solo noti.

I loro umori battono le ali

e si confondono con gli altri umori

vaporanti dai barattoli,

sollevano precipitati, attirano molecole

con sottilissime antenne

e calamite.

Oh, come pulsa la vita

tra larve meccaniche e vetro

mentre aliene minuzie si accoppiano

e ritmi primaverili intrecciano

ronzando intorno a un “sì, bé” molle

che alla follia in sordina dice

”vade retro”.

G. Isella

In questa poesia, Gilberto Isella cerca di innalzarsi, come un aereo che decolla, verso un sentimento elevato, un concetto più chiaro. Purtroppo questa pista è piena di sporcizia che impedisce a questo pensiero di prendere il volo: il materialismo, le inquietudini dell’uomo, le ingiustizie, gli umori ansiosi come un frenetico battito di ali. Percorrere la scalinata dell’arte è impossibile, finché non ci si distacca completamente da ogni inutilità mondana. Certo, l’espressione poetica può anche essere la trasmissione di sentimenti strazianti o semplicemente di pensieri momentanei, ma la vera sensazione di compiacimento la si trova solo quando arrivi all’ultimo scalino, non a metà della rampa. La mescolanza di cose apparentemente molto materiali, come gli psicofarmaci, assieme ad un concetto spirituale, quale la voglia di vivere creano un grande divario che il lettore stenta a capire. Questo continuo sbalzo, tra sole e terra, luce e buio, aria e fango, non aiuta il nostro sentimento a decollare verso un vero e soddisfatto completamento morale della nostra anima.

 

Di Scala Mattia, IV H
Gilberto Isella: "Corridoio Polare"

Gilberto Isella, nato a Lugano il 25 giugno 1943, ha studiato lettere e filosofia all' università di Ginevra. Dal 1974 insegna lettere al liceo di Lugano 1 e alla SUPSI.

Nel 1979 è stato promotore di una rivista culturale, chiamata "Bloc Notes",di cui ora è coredattore. é anche saggista e ha dedicato molti studi su autori del passato, come Dante, Boccaccio o Ariosto, o contemporanei, ma ha analizzato soprattutto poeti.

Ha seguito un antologia di Mario Marioni, scrive articoli di critica letteratria al 'Giornale del Popolo' e partecipa ad attività culturali dell' "Associazione Alice".

Dal 1989 ha pubblicato molte opere poetiche: "Le vigilie incustodite"(1989), "Leonessa"(1992), "Discordio"(1993), "Apoteca"(1996),"Baltica"(1999), "I Boschi intorno a Sils-Maria"(2000), "Lichene o terra"(2000), "Nominare il caos"(2001), "In bocca al vento"(2005), "Autoantologia"(2006) e infine "Corridoio Polare"(2006).

In questo suo ultimo libro, il poeta inscena una sorta di dramma poetico-filosofico, in cui abbiamo in primo piano il suo alter-ego che cerca di ritrovare la sua identità in un mondo di contraddizioni. Isella trova semplicità, che a volte sembra coincidere con l'ordine geometrico delle cose oppure con la visione della realtà naturale, e follia, che opponendosi gli impediscono di vivere liberamente. Il poeta è dunque prigioniero della necessità, che diventa un ossessione nella vita quotidiana. "Si era messo in salvo oltre il corridoio polare ionico"è il primo verso dell' opera, in cui Isella ci fa capire che attraverso questo corridoio, lui ricerca libertà e serenità.

"Corridoio polare" è dunque un poema governato dall' impari lotta tra follia e semplicità, tra armonia e disarmonia in cui il poeta affronta un percorso di gelo, di solitudine e di follia.

Le poesie presentate nell' opera sono difficilmente accessibili e ricche di metafore e immagini, che ci aiutano a comprendere l' idea del poeta, ma non ci trasmettono, a mio vedere, lo stato d' animo e i sentimenti dell' autore.