Ranieri Teti

Lia Rossi

Il canto che intona Lia Rossi ha la melodia irrequieta delle cose liberate dall’ombra. Richiama antiche voci, intese come forze primordiali e come ambiti di uno spazio terrestre che riunisce l’alto e il basso, il cielo e la terra.

Lia Rossi chiede alla poesia cose che solo dalla poesia è dato di sapere. Perché solo la poesia sa in quale rapporto l’essere umano si pone verso il principio e verso la fine.

Massimo Rizza

Tra l’immagine di pietra e lo sguardo della storia vi è una ferita aperta che l’essere umano desidera ricucire. La fenice è il simbolo che sembra richiudere la forbice tra esistenza e morte, quasi un filo che ricucia. Alle coppie oppositive, che mostrano l’abisso che le accomuna, appartengono sono anche Dio e il nulla, il foglio bianco e la scrittura, la mente e il corpo. La parola viene in soccorso, aiuta a credere alle visioni unificanti.

Giuseppina Rando

Un testo che ripropone la riflessione sul potere/non potere della relazione lingua/realtà: Di fronte alla realtà la lingua diventa parola ingannevole.

I consueti tentativi di costruire l’invisibile dimora dell’essere e la consueta mortificazione nel constatare che le sillabe distanti non colmano il vuoto.

Come è stato detto, nella scrittura di Giuseppina Rando c’è la consapevolezza di un linguaggio che non risolve e nel contempo contiene i semi originari dell’esprimersi.

Ivan Pozzoni

Nel fantastico, ironico, enorme, visionario, dilagante mondo di Ivan Pozzoni c’è spazio per l’apparentemente minuscola attenzione a una lettera. Ce lo dice il titolo di questa poesia: “La malattia invettiva”. Un cambio, tra la “f” e la “v”, che connota la storia del testo.

Siamo di fronte a un uso potente della lingua, a un’invettiva che diventa infettiva per come, tra ritmo travolgente, rime inaudite e lessico adeguato, riesce a portare il lettore in un vortice.

Gabriele Pepe

“I sing the body electric” è il titolo di un lungo poema di Walt Whitman che è stato ripreso, per il loro secondo album, dai Weather report.

Tra le due, sembra essere più quella musicale l’accezione preferita da Gabriele Pepe.

Partendo dalla coda del lungo testo leggiamo “e questo è il blues del tempio risanato / che atomo per atomo rinnova la promessa: / spiga nuova, futura resistenza…”.

Giovanni Parrini

Il poeta vive sul margine, sull’orlo. Da questo limite acquista centralità, anche se il mondo pare non accorgersene.

Come ha scritto Brodskij, “l’esercizio poetico è uno straordinario acceleratore della coscienza”: in questa poesia infatti una maceria viene aggettivata, allo stesso tempo, “intima”, “inutile”, ma “irrinunciabile”.

Mario Novarini

Con una poesia tutta aderente alle sottili percezioni non tanto della materia quanto dell’atmosfera, delle fonti luminose, dei riflessi e delle percezioni, Mario Novarini insegue il gioco infinito delle loro variazioni alla ricerca di una geometria sottesa e di relazioni che, sui binari dell’analogia, leghino l’inorganico all’organico, il corporeo all’incorporeo: “seguono la piramidale / spiraliforme geometria / ch’è imposta dalla loro / ineludibile natura”.

Clemente Napolitano

Clemente Napolitano ci porta con questo libro nel flusso della vita quotidiana, nel suo farsi e disfarsi nello spazio di un libero agire proprio di un’anima che ha compreso il destino cui è assegnata.

Un destino che coinvolge il linguaggio e la coscienza, in un rinnovamento lungo e incerto, in un rituale che ha bisogno di essere continuamente ripetuto.

Qualcosa è già successo. Ma c’è ancora posto per l’emozione di un rapporto che svela tentazioni non dette, segrete, incalcolabili.

Alberto Mori

 

 

 

Con questo libro Alberto Mori ci indica quattro delle mille e mille direzioni che può prendere il linguaggio: la Strada, l’Immagine, la Carne, la Migrazione.

 

 

Vi è nella poesia di Mori una continua alternanza tra identificazione e distacco.

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