Della grandezza di Roberto Borghesi

Della grandezza

di Roberto Borghesi

 

"la grandezza sarebbe allora il contrario della potenza…rifiuta la potenza altrui e vi erge contro una potenza eterogenea, altrimenti misurabile"1

G. Colli. La ragione errabonda. Pg 143.

"Nullam dicere maximarum rerum artem esse, cum minimarum sine arte nulla sit, hominum est parum considerate loquentium atque in maximis rebus errantium"

Cicerone. De officiis. II, ii.2

"Gròssers wolltest auch du"

Hölderlin.3

"la filosofia incomincia con un dare una legge alla grandezza", scrive Nietzsche in

La filosofia nell'epoca tragica dei greci, (PHG 3); ad essa è collegato un "dare nomi". La grandezza precede la filosofia4, dunque, ma è la filosofia che da a questa un ordinamento che essa non ha.5 Per farsi conoscere, la grandezza deve passare attraverso il discorso legislativo del filosofo, il quale, a partire da essa, da i "nomi" e dunque pone i valori tra le cose.6 "Questo è grande" dice il filosofo e in questo modo egli istituisce una gerarchia tra le cose che sono fino allora come in un "caos", e in tale modo egli da un indirizzo al moto fino allora sfrenato della conoscenza. Se così è, abbiamo qui una anticipazione di quello che sarà per Nietzsche una manifestazione di grandezza, la scrittura del "crepuscolo degli idoli" e l'incitamento da parte di Zararathoustra a spezzare le antiche tavole e a darne di nuove (ZA III,12).

Zarathoustra è l'uomo della grandezza. Essa ha una propria strada, la via della grandezza; essa non è unica, è una strada, ma ciascun "grande"7 ha la sua. Quella di Zarathoustra si caratterizza per situarsi tra "cima e abisso"; essi hanno la conclusione l'una nell'altro, si innanellano l'una nell'altro a formare un'unità. Di cima e abisso riparlerà "Nietzsche", quando scriverà della "felicità" della sua vita in Ecce Homo. La grandezza, dunque, "copre" nel suo percorso "tutto" lo spazio; una totalità. La grandezza è per Zarathoustra l'estremo riparo; la grandezza è dunque una protezione per colui che percorre la strada tra cima e abisso, per il viandante della conoscenza, come lo è Zarathoustra. Ma questo riparo non è situato "fuori" dal sentiero percorso dal viandante; esso proviene dalla trasformazione che la grandezza fa di ciò che per esso costituiva il pericolo. Dunque, la grandezza si da in una trasformazione "qualitativa"8 ; il pericolo si trasforma in protezione. La grandezza conosce a tal punto il pericolo che è in grado di trasformarlo in protezione9. Esso non perde la sua caratteristica; divenendo protezione il pericolo resta tale. E' nel pericolo che la grandezza trova la sua protezione; dunque, il pericolo da "movimento" alla grandezza. Essa non sta nella stabilità; nella protezione la grandezza non incontra la pausa; essa trova la protezione che tuttavia si caratterizza per conoscere il pericolo, dunque per conoscere il "moto"10. Zarathoustra insiste; egli si incammina sulla via della grandezza. E' lungo questa via, dunque questo "moto" che il pericolo si trasforma in protezione. E' lungo questa via che Zarathoustra deve incontrare il suo coraggio migliore, quello estremo; che dietro di sé non si dia più nessuna via. E' la solitudine dunque, ciò che si fa incontro a Zarathoustra sulla via della grandezza. Grandezza e solitudine11, grandezza è solitudine; pertanto essa non si può trasmettere per imitazione, per riflessione. A ciascuno tocca andare solo sulla propria via della grandezza, ed essa è allora lontano dal sentiero degli uomini. Sulla via della grandezza nessun essere "strisciante" può seguire Zarathoustra; dunque, neppure lo sciancato-nano. La via della grandezza è al di là della via su cui si trova la "porta-carraia " dell'eterno ritorno. La via della grandezza è quella su cui ciascuno che sia passato per quel sentiero, ora, forte di quell'"esperienza", "vive" la sua intrasmissibile esperienza in sé, per sé. La grandezza perciò presuppone l'esperienza della "comprensione" della "concezione" dell'eterno ritorno delle medesime cose. E "vivere" questa "esperienza", questa "concezione", è l'estremo pericolo che deve correre colui che si incammina su quella via; là, tuttavia, sta il suo ultimo "rifugio". La grandezza si da con la cancellazione di ogni traccia della sua via; è il piede stesso che estingue qualsiasi possibile "fonte" per un eventuale sequela. Ancora una volta, qui è la solitudine più assoluta che viene data come condizione per la grandezza. Essa assomiglia radicalmente alla "speranza"12 di cui parla Eraclito (Colli:SG 14<A63>) . Si comprende allora perché il pericolo divenga la protezione ultima nella grandezza; il pericolo è la solitudine, che consiste nel potere contare solo su se stessa. Questa "solitudine" è rischiosa perché presuppone che nella grandezza si faccia credito a se stesso. Nel credito c'è il rischio dell'"insolvenza"; dunque del "fallimento". La follia! Sulla via "cancellata" dal piede e dunque in una specie di scrittura simile a quella che si fa sull'acqua, sta scritto: non-possibilità. E' evidente da quanto scritto e pensato finora che Nietzsche cerca qui, in queste parole che Zarathoustra, in un gesto di doppia solitudine, dice a se stesso, di dire l'inesprimibile, l'ineffabile. Insomma, in definitiva la grandezza è "inesprimibile", incomunicabile!13 Inaccessibile è la sua "espressione"; allora bisogna pensare che tutto ciò che viene detto della grandezza è un suo "riflesso", una sua "ombra"? Qualcosa come la "traccia" di cui ci parla la decostruzione?

La "volontà" dice Zarathoustra (ZA III 12,30) è ciò che volge ciò che manca in ciò che è necessario; da qui passa la grandezza. Qui abbiamo, pare, un descrizione di quale sia la via della grandezza. Su di essa si incontra la "volontà" che ha la capacità di volgere ciò che è "manchevolezza"- travaglio, fatica, sofferenza-,"pericolo", dunque freno al "moto" dell'esistenza, in ciò che "deve" essere il suo rovescio; la leggerezza nel portare questo "peso". La volontà "muove" il cammino di colui che va

sulla via della grandezza; essa sa trasformare la "zavorra" che il dolore fornisce al "moto" del viandante, in un sollievo per il suo passo. 14Questa è la "necessità"; sapere trasformare in un "io voglio", orsù, quello che è un ostacolo al cammino della grandezza. E' evidente come qui siamo richiamati all'"esperienza" narrata da Zarathoustra quale "visione e enigma (ZA III,2). Ma, fin qui, abbiamo scritto in modo "positivo" della grandezza. ZA IV 5, invece ci espone come l'intraprendere il cammino sul sentiero della grandezza non sia sempre indice di successo. La via della grandezza, innanzi tutto, non passa per le strade dello "spettacolo"15; non dunque, innanzi tutto per il palcoscenico della storia. Non è la "fama" una garanzia per la grandezza; nemmeno il successo. Ancora una volta, Nietzsche ribadisce come la via indicata dalla sua filosofia sia ben lontana dal sentiero degli uomini,16 per dirla con Parmenide.17 Ma essa non esclude che pure in questo palcoscenico possa muoversi la ricerca della grandezza! Che cosa ci fa dire che nelle parole di Parmenide o di Eraclito alberga la grandezza?18 La consapevolezza che, alla fine, dalle loro parole non si da la "loro" grandezza", inattingibile, come abbiamo visto; ma che dalle loro parole si da una "traccia" perché anche noi possiamo tentare di incamminarci su quella via, la nostra via. E' la "venerazione" per questi "maestri" del passato che, come ci è detto da Nietzsche stesso a G Colli, a indicarci una via per la grandezza! 19 E (ZA IV,5), certamente la grandezza non passa attraverso le folle! Così insegna Zarathoustra; eppure, dice, un "folle" potrebbe avere "qui" successo! In altri termini; la "fortuna" arriderebbe a un "pazzo" nella ricerca della via della grandezza tra la folla! Con questo "paradosso", Nietzsche intende sostenere come, per il fatto che la grandezza si associa alla "impossibilità", questa impossibilità è fonte per il sorgere di vie "impossibili" per la grandezza. Inoltre; se è possibile che tra la folla ci sia una via per la grandezza, essa passa per il più "pericoloso" dei sentieri, quello della "follia"!