Alessandro Ghignoli: Da lingua a parola, o la traduzione nel dialogo di un suono

Il più lontano passaggio sembra essere da parola a parola. L'irraggiungibile diviene finito, processo di un inizio nel durare.

La lettura, l'attesa, il tempo sospeso, lo spazio bianco: una distanza estesa. Il rilievo su cui affondare la mano.

La lingua è sempre un esilio, un luogo, un orizzonte di speranza. La lingua è lo sfregio del trovato, del pensante. È la porta.

Cercare le lingue, la loro fuga, il mistero del vuoto, tutto lo spazio dentro. L'uscita rimasta.

Nel narrante: il poetare. Nel dire: trasducere, attraverso la fessura lasciata respirare. Così ri-darsi. Semplicemente ricevere.

La trama esperimenta l'involucro, l'inclinarsi al bello, al presagio della sorte, al rimanere ché si fa possibile.

Se nel principio si concentra l'indefinibile.

Se l'identità è il flessibile lasciato scorrere, se il nostro esserci non è altro che l'interpretazione di una presenza, il frammento di un punto è la grammatica di una linea, l'unione che congiunge.

La traccia sul foglio, la presenza pronunciata, l'errore che diviene sbaglio. Tutto durante la passività del lettore. I punti sospensivi, il silenzio dell'attore, la storia di una parola: dialogo di un suono.

I battiti non hanno confini, limiti di un ritmo.

Cancellando lo sfondo, la vita è la cornice della vita e l'esperienza si fa esperienza.

Si compie la trasformazione: da vuoto ad ascolto, da parola a silenzio, a suono.

Il minuto è la distanza dell'attimo, la comprensione di uno spazio. Nel plurale degli alfabeti, lo sguardo estrae i profili delle parti, il nome delle scelte e poi: separa per unire.

Il testo è una ferita, a volte il gesto ne è l'arma. L'origine di un'eco caduto in un pozzo, il germoglio di ogni scrittura: l'altro: una memoria che sceglie e definisce.

Il differente simile all'unico.

Ogni parola è l'ombra di un'onda. Il presente nel passato che si crea nonostante il dire.

Dalla stessa immagine si divide l'incontro dall'oggetto. L'ordine di una parola, il suo riposo.

Brucia lo specchio dell'inaccessibile. Tutto è un fatto, un poter tornare. L'arrivo è una meta, un monologo tra l'io e il proprio io.

Interrogo e non smetto di sapere che il riflesso è la possibile lingua. La proiezione del corpo nel corpo.

È nell'incontro la forma, l'intercambio di possibili per arrivare. Nella dimensione di un'oratoria si cede il bisogno del rapporto.

Verso è l'esibizione di una proposta, la diversità della somiglianza.

In questo intreccio, un susseguirsi di risposte, una creazione di conseguenze a sfiorare il dicibile.

L'imprevisto è il contenuto della regola, la sete della novità.

La pazzia della ricerca, la menzogna abituata, un anche per raggiungere lo scopo.

La funzione di nominare, tutto il linguaggio dentro la solitudine del senso, nell'identità di un verso la parola al dirsi parola si consegna alla differenza, alla dissoluzione.

Stranieri di un percorso: specchio di una conoscenza, ritardata e taciuta.

Per tempi e possibilità, il bordo della parola è il vuoto del silenzio, il suo poter essere mai raggiunto. Raggiungibile.

L'attesa del deserto è la trasparenza del foglio, il saper accettare la promessa di una chiamata.

Lasciare dietro le impronte registrate.

Nell'altro, nel ciò che rimane, nell'inverso, nella resistenza della novità. Solo attraverso si recupera il realmente altro.

Si aggiorna la fragilità della scrittura, il vento contro il vento, lo spazio dentro la balbuzie della decisione.

Il dato iniziale mai origine, mai fine.

Il testo alla ricerca, al perdersi per unità, al mostrarsi testimone di un accadimento.

Redazione di una identità proiettata e mantenuta nella linea chiusa in sé.

Echi di tracce si susseguono, la definizione risulta indicibile, racconto di una biografia, di un impossibile ritorno al già detto.

Dettature rimaste incomplete, nelle profondità il diverso è l'ordine, il simbolo di un'interrogazione.

La stessa lontananza ritorna, si apre al enigma della forma, al contenuto di un mistero dietro il vetro.

Nel dapprima la fortuna di un'intuizione, la grafia di un pensiero.

Lo scrivente: l'intruso. Senza permesso, con la frusta della parola a conoscere l'agonia della scelta, il labirinto del cambio.

L'unica uscita. Il canto del ferro nel legno, la voce dell'acqua sulla roccia.

La luce sul palmo della mano.

Riscritto per non lasciare sola la parola, per non farla suprema.

Per lasciare il segno, per il tentativo, aggiungere qualcosa all'altro, far andare il bisbiglio.

Il respiro.

Adagio è il cammino, la consegna di ciò che è perduto, la nota da affrancare e la configurazione della metamorfosi.

Il colloquio è scardinare l'assurdo in movimento, l'abbaglio intorno dal basso al centro, nel momento dell'invisibile. Il risorgente moto della trasformazione, l'evidente fatto parola. La domanda in sospetto.

Il tentativo a contraffare la diserzione.

Vicino alla conquista, la disperazione. Il rigore del ripetersi, la misura in oblio si apre alla luce dalle mille ombre.

L'appoggio alla parola è l'assenza, il disporre dell'annuncio, dell'avvertimento inutile.

L'interstizio dentro la crepa: il bianco che tutto dice.

Confondersi nella ricerca, nella nebbia dove dal nulla si comprende.

Dove l'estremo è il punto minimo nella distanza cancellata e rimossa.

Non c'è risveglio, corsa, evidenza possibile. L'orizzonte è la gabbia, la lenta cerimonia del girarsi.

Si ripetono le domande, sono frammenti chiusi nel reticolo.

Il dubbio cede il passo, si distacca, ripercorre lo scrivere, il suo istante di pericolo o di perdita.

Non c'è altra follia possibile, non c'è differenza più diversa che il rumore nell'orecchio, che la scelta ineguagliabile.

Come un testo può ridare un pensiero, come soltanto un liquido può divenire solido.

L'abisso conosciuto è lo sterminato deserto delle scelte.

La luce della notte chiede spazio nella regolarità del fumo. Il profilo è una certezza, un passaggio possibile.

Appoggiarsi al suono, alla parola, al taglio lasciato, all'intervallo di ogni stupore.

Anche così permane la dilatazione dell'assenza, il tentativo di riunire le parti. L'intuizione è il gioco della differenza.

La forma significa, la libertà dei dire costruita nella decisione: è.


Alessandro Ghignoli (1967) ha pubblicato La prossima impronta (poesia, 1999) e Fabulosi parlari (poesia, 2006), Silenzio rosso (prosa, 2003). Ha curato e tradotto una decina di volumi di poeti spagnoli e portoghesi. È redattore de "L'area di Broca". Insegna all'Università di Alcalá. Suoi lavori su "Anterem" 60, 61, 62, 64, 66, 69, 70, 71, 75, 78.